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La mappatura della Liguria
con le famiglie di 'Ndrangheta
e le radici di Cosa Nostra.
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Quella realtà di Diano Marina
che vorrebbe oscurare i fatti,
oscurando noi. Tutta la storia.
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Le cementificazioni hanno un
prezzo come la mancata messa
in sicurezza del territorio
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La messa in sicurezza latita,
la bonifica è lontana e qualcuno
vuole anche riaprire la Discarica.
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Con l'intromissione del potere nella magistratura e nei media viene a mancare una critica esauriente degli abusi e dei suoi errori, che finiscono per sfuggire ai cittadini.
Effimera, la questione morale d'agosto? O destinata a suscitare la rivolta delle coscienze e a fermare la decadenza? Qualcuno ha chiarito i termini del problema, felicemente, come il politologo Giovanni Sartori sul Corriere della Sera e l'editorialista Barbara Spinelli su La Stampa. Mi limito allora a osservare che, in una democrazia con una Costituzione liberamente formata, la violazione della lettera e dello spirito di questa legge fondamentale è anche moralmente illecita perché lede il patto della convivenza civile.
La questione morale si pone in questi termini sempre più spesso. La separazione dei poteri è lesa dall'intrusione del Governo nella selezione e nella carriera dei giudici, dalla corrosione del ruolo del Consiglio superiore della Magistratura, dalla preparazione della soggezione dei Pubblici ministeri all'esecutivo.
L'informazione, l'altro grande guardiano del potere, vede in posizione dominante il capo del Governo, che ha il suo privato impero mediatico e usa spregiudicatamente la televisione pubblica, licenziando volgarmente un giornalista del calibro di Enzo Biagi. Nel tempo della globalizzazione, la finanza e i media aumentano il loro potere, anche al di là dei confini degli Stati: che tanto ne detenga una sola persona, capo di Governo, è pernicioso. Viene a mancare una critica esauriente dei suoi abusi e dei suoi errori, che possono così sfuggire ai cittadini cui compete scegliere la migliore politica e i politici più capaci.
Se i fallimenti in economia, sanità, ambiente, nella lotta alla mafia, nel mezzogiorno e nel fisco sono manipolati e celati dagli schermi televisivi, i cittadini finiscono in una spirale di impotenza.
Ero incerto se parlare con i lettori di questo o della vicenda del giudice Caselli. Poi ho pensato che è la stessa cosa. Indecenza morale, legalità aggirata. Infatti: la nomina del Procuratore nazionale Antimafia spetta al Consiglio superiore. Con una legge apposita si sono modificati i termini di età, così da escludere Caselli, uno dei concorrenti. Di fatto si è tolta al Csm la decisione, dandola al Governo e alla sua succube maggioranza. La Costituzione presa a calci. E hanno la franchezza, cioè l'arroganza, di dichiararlo.
Non è una buffonata, è molto peggio: ora subito si dice di voler alzare l'età pensionabile dei giudici, che potranno concorrere di nuovo a uffici direttivi anche all'età di Caselli. Intanto il vituperato Caselli ? ma perché, se non in quanto aveva perseguito i turpi connubi di mafia-politica ? non potrà più vincere il posto assegnato ad altri.
Negli stessi giorni, col suo pugno di "uomo forte" Berlusconi scrive una legge che riduce la possibilità di intercettazioni per reati come la corruzione, che tanto ruolo ha avuto purtroppo e ancora ha nella vita pubblica e nel rapporto tra politica ed economia. Il potere reagisce così alle preziose inchieste sui santuari dell?economia e della finanza e i loro abusi. Un potere non sano, che tenta di liberarsi dei limiti, dei controlli e dei bilanciamenti che fanno la democrazia. Prima le leggi a favore, ora quelle contro i giudici e un singolo giudice, nel mezzo la perdurante e incompatibile disponibilità dei mezzi di governo e di comunicazione (restando l'ombra sui fatti estinti per prescrizione e depenalizzazione). Bisognerebbe fermarli, sia il presidente del Consiglio che i suoi zelanti alleati, i quali solo con qualche belato simulano di volerglisi contrapporre per avere una fetta maggiore del potere che contribuiscono a sostenere. Governano i demolitori della democrazia.
Non possiamo aspettare. Ed è uguale dovere morale e civile censurare la corrività verso comportamenti scorretti, le pericolose amicizie con affaristi da parte dei leader dell'opposizione, come per fortuna è stato fatto da giornali che pure la sostengono.
31.07.2005 – Famiglia Cristiana
Una riforma contro la Giustizia
di Adriano Sansa
formato .pdf – clicca qui
29.07.2005 - Diario
La Bicamerale della Finanza
Colpo di scena, signore e signori, in questa grande storia italiana, anzi europea, di soldi, banche e potere che Diario vi sta raccontando da otto settimane: lunedì 25 luglio la procura di Milano ha ordinato il sequestro d’urgenza del 40 per cento delle azioni Antonveneta in mano agli scalatori (il Gianpiero Fiorani della Popolare di Lodi e altri sette suoi amiconi, tra cui il finanziere bresciano Chicco Gnutti e gli immobiliaristi romani Stefano Ricucci e Danilo Coppola).
I due ragazzi terribili della procura, Eugenio Fusco e Giulia Perrotti, hanno messo nero su bianco che «occorre prevenire ulteriori condotte criminose» e dunque hanno ordinato il sequestro senza neppure aspettare un provvedimento del giudice delle indagini preliminari. Anche perché per mercoledì 27 era prevista, in seconda convocazione, l’assemblea degli azionisti di Antonveneta e bisognava impedire che le quote rastrellate contro ogni regola da Fiorani e compagni fossero usate contro quei poveri illusi degli olandesi di Abn Amro che avevano fatto una regolare opa su Antonveneta credendo che in questo Paese le regole valessero per tutti.
Ma c’è un colpo di scena nel colpo di scena: nel decreto di sequestro delle azioni, ci sono alcuni edificanti esempi di colloqui telefonici tra Fiorani e il governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Che a parlare con il banchiere di Lodi sia il governatore in persona è una bomba. Anche perché Fazio, secondo quanto risulta dalla sua stessa voce, non esita a chiamare nella notte l’amico Fiorani per annunciargli: «Ho appena messo la firma». Sono le 00.12 del 12 luglio e il governatore gli comunica che ha stracciato le conclusioni negative degli ispettori della Banca d’Italia e ha dato il suo via libera alla Popolare di Lodi che si lancia ufficialmente all’attacco di Antonveneta, dopo aver però già rastrellato in maniera occulta consistenti pacchetti di azioni. «Tonino, io sono commosso», risponde Fiorani a Fazio, «io ti ringrazio... ti ringrazio... ho la pelle d’oca... io, guarda Tonino, ti darei un bacio sulla fronte, ma non posso farlo... so quanto hai sofferto... prenderei l’aereo e verrei da te in questo momento se potessi!».
Che il rapporto tra i due fosse stretto era noto, ma ora è dimostrato in diretta dai loro salamelecchi telefonici. Il 5 luglio, quando Abn Amro, povera ingenua, chiede una proroga alla scadenza della sua opa, Fazio dice a Fiorani: «Allora se tu vieni da me verso le 15, le 15.30, stiamo insieme un’ora, un’ora e mezza, ché... diciamo... voglio verificare un insieme di cose... L’unica cosa: passa come al solito, dal dietro... dietro di là». E Fiorani: «Sì, va bene... sennò sono problemi...».
Giornalismo kamikaze. Intermezzo comico. Il giorno del colpo di scena, esilarante editoriale sulla prima pagina del Giornale: «E se qualcuno fosse stato in pensiero, ora può stare tranquillo. Sulla storia delle banche siamo arrivati anche alle intercettazioni, naturalmente fatte filtrare ad arte fuori dai palazzi di giustizia». E ancora: «Lunedì “escono le intercettazioni”, cioè qualcuno decide che in quel giorno è il momento “giusto” per farle uscire». E di nuovo, ossessivamente: «Ci dovrebbero spiegare che bisogno c’era di fare uscire le intercettazioni...». Effettivamente le intercettazioni «sono uscite» martedì 26 luglio. Ma su un solo, unico quotidiano: il Giornale, per la firma di Gianluigi Nuzzi. Un caso di scoop suicida, di giornalismo kamikaze.
In più, l’editoriale del Giornale s’interroga: «Tra tutte le intercettazioni, fior da fiore, hanno beccato proprio quelle con il governatore della Banca d’Italia». Ma pensa un po’: quegli indiscreti dei magistrati hanno prestato attenzione alle telefonate di Fiorani ad Antonio Fazio, invece di quelle del banchiere al bar o alla zia.
Che poi siano finite proprio e solo sul Giornale, malgrado la procura avesse blindato le indagini per non farle trapelare (e con successo, a parte il Giornale), secondo i bene informati vuol dire che è scattata la «smagliatura Tremonti»: l’ex ministro delle Finanze, grande nemico di Fazio, ha ancora amici ai vertici della Guardia di finanza, che sta facendo le indagini per la procura di Milano, e ha amici anche al Giornale.
La novità (con buona pace del Giornale) è l’entrata del governatore sulla scena giudiziaria. Che nella vicenda delle scalate Fazio fosse fazioso e non arbitro imparziale era già noto e anche Diario l’aveva variamente, nelle settimane scorse, cercato di documentare. Questa storia, del resto, è piena di cose già scritte di cui nessuno vuole però prendere atto (scalatori mascherati, scalate a rischio crac, immobiliaristi dai soldi dubbi, regole dribblate, amnesie della sinistra, scambi di cortesie destra-sinistra...). Il fatto è che ora ci sono le prove in presa diretta dell’incredibile «concerto» tra Fiorani e Fazio.
Possibili conseguenze. Uno: il governatore vedrà presto il suo nome inserito tra gli indagati per reati finanziari, insieme a Fiorani, Ricucci e gli altri? Due: si dimetterà? In un Paese normale la risposta alla seconda domanda sarebbe sì, invece la Banca d’Italia ha subito emesso una nota in cui sostiene che tutto va bene e che le autorizzazioni concesse a Fiorani erano atti dovuti.
Del resto, chi mai chiederà seriamente le dimissioni del governatore? Neppure il centrosinistra, preoccupato che poi il nuovo numero uno della Banca d’Italia nasca sotto l’ombrello del governo Berlusconi. I Ds, in più, di Fazio hanno bisogno, per portare a compimento nei prossimi mesi la scalata della «rossa» Unipol su Bnl.
Rischio crac. Anche nei giorni precedenti il gran colpo di scena, ne sono successe di cose.
20 luglio, intervista di Massimo Mucchetti a Romano Prodi sul Corriere («I politici pensino alle regole, non agli affari», «Fazio non agisce da arbitro ma da parte in gioco», «Il capitalismo si ammala se le leggi rendono convenienti la speculazione e non la produzione e l’innovazione»).
21 luglio, intervista di Alberto Statera a Massimo D’Alema su Repubblica (con una conferma: «Ma sa che le dico? Nei confronti dell’Unipol c’è una campagna razzista»; e un aggiustamento di tiro: sulla scalata al «Corriere è giusto chiedere maggiore chiarezza»).
22 luglio, fallimento delle offerte pubbliche degli olandesi di Abn Amro su Antonveneta e dei baschi del Banco di Bilbao su Bnl. 23 luglio, scoperta che l’intervento dell’azionista romano Stefano Ricucci all’assemblea Antonveneta – potenza della Padania – era stato scritto a mano a Lodi, negli uffici di Fiorani: che «concerto» di idee!
Del resto, Fiorani è un banchiere creativo, che oltre a far comprare azioni sottobanco agli amici e ai misteriosi fondi gestiti alle Cayman da Luigi Enrico Colnago (sempre con soldi generosamente erogati dalla sua banca), ha saputo anche inventarsi un modo geniale per finanziare la sua pericolosa scalata al potere: realizza cessioni di quote di società controllate che in realtà sono onerosissimi prestiti mascherati.
Un esempio lo ha raccontato Mario Gerevini sul Corriere. Fiorani ha «venduto» a Deutsche Bank il 10 per cento della Cassa di Bolzano, realizzando ben 183,4 milioni di euro. Bravo, no? Peccato che una quota identica, il 10 per cento della stessa banca bolzanina (anzi, un 10 per cento più prezioso, perché permetteva di arrivare al 58 per cento, cioè al controllo assoluto), fosse stata venduta esattamente un anno fa alla Bayerische Landsbank a soli 79,2 milioni.
Dunque, Fiorani è un mago capace di valorizzare del 120 per cento in un anno una sua partecipazione. Ma questo lo crede solo Fazio. Chi guarda le carte, più prosaicamente, è portato a pensare che Fiorani parcheggi pacchetti di azioni presso banche e finanziarie (Deutsche Bank, Dresdner, Earchimede di Chicco Gnutti) allettate da sostanziose commissioni. Con questo sistema porta a casa circa un miliardo di euro, da buttare nella scalata Antonveneta. Domani, dopo aver conquistato la banca di Padova, si dovrà riprendere le sue partecipazioni, che aveva venduto ma con l’elastico (un elastico che in finanza si chiama opzione call).
C’è un’incognita. Se non la conquista, l’Antonveneta, che cosa succederà di Fiorani? Dove troverà i soldi per ricomprare tutte le sue vendite con l’elastico? Queste sono operazioni a rischio crac. Oh, non ci venite a dire che siamo uccelli del malaugurio, quando ripetiamo che le società alle Cayman di Fiorani ricordano tanto le consociate andine dell’Ambrosiano di Roberto Calvi e che la nuova sigla della banca di Fiorani (Bpi, Banca popolare italiana) è la stessa di Sindona (Bpi, Banca privata italiana)...
Bicamerale della finanza. Come passerà le vacanze il governatore Fazio? Chissà. Ma non sembra che debba preoccuparsi troppo. Sembra blindato, a destra e a sinistra. E qui si apre l’altro capitolo, quello sull’altra scalata: Unipol alla conquista di Bnl, dopo il fallimento del Banco di Bilbao. Fazio ha già fatto capire che permetterà la conquista. Così ha portato dalla sua parte quella larga parte della dirigenza Ds (D’Alema e Fassino in testa) che tifa per Unipol e per dare una banca al mondo delle cooperative. Aspirazione legittima, anche se un po’ rischiosa dal punto di vista finanziario per la compagnia guidata da Giovanni Consorte e per le coop che l’hanno seguito.
Meno legittimo è che la politica tifi per uno schieramento finanziario e, in forza di ciò, abbassi il livello critico. Accettando Fiorani (e anche Ricucci, che in fondo «non c’ha la rogna») perché sia data via libera a Consorte. Sì, questa grande storia italiana, anzi europea, di banche e scalate e potere è fatta di vicende diverse (Antonveneta, Bnl, Rcs, Mediobanca...), ma ha una sua sostanziale unitarietà, una rete unica, anche se articolata, di protagonisti e comprimari, banchieri, finanzieri e politici, stretti attorno al governatore Fazio, che si crede il nuovo Cuccia.
Per questo rischia di diventare una «Bicamerale della finanza» fatta di scambi e concessioni reciproche. Un grande accordo sotterraneo per ridisegnare il volto del (debole) capitalismo italiano. Tangentopoli, al confronto, è archeologia. Sembra averlo intuito Prodi, quando si mostra preoccupato che si stia aprendo una nuova stagione di commistioni tra politica e affari.
Ancora una volta, sono dovuti intervenire i magistrati per svelare i giochi sporchi. E qualcuno ha già cominciato a lamentarsi dell’invadenza dei giudici. Peccato che, prima di loro, nessuno di chi poteva parlare lo abbia fatto: né Bankitalia, né la politica. Tutti impegnati a tifare e tramare, invece che a regolare.
E il finanziere rosso disse: «Ho già capito!»
Dalle intercettazioni telefoniche esce un quadro raccappricciante dei rapporti tra l'arbitro (Fazio) e i giocatori (Fiorani, Ricucci e compagni), ma anche tra il banchiere che piace tanto alla Lega (Fiorani) e il boss della finanza rossa (Consorte). In una telefonata del 29 giugno tra Consorte e Fiorani c'Ë, secondo i magistrati di Milano, la prova che Fiorani abbia inscenato false cessioni di quote d'aziende controllate dalla sua banca: servono per fare cassa e rientrare nei parametri finanziari minimi richiesti alle banche. In realtý sono finte vendite o vendite con l'elastico, trucchi per ottenere prestiti.
Il trucco pi˜ smaccato, lo snodo cruciale, Ë la "vendita" di quote alla Earchimede: una societý controllata (al 49 per cento) da Chicco Gnutti e che ha tra i soci la stessa banca di Fiorani (11,92 per cento) e anche Consorte (attraverso Unipol Merchant e Aurora Assicurazioni, Consorte controlla il 14 per cento di Earchimede). Ebbene, nella telefonata del 29 giugno, Fiorani chiede a Consorte di intervenire presso i «suoi» uomini in Earchimede per far passare la delibera utile alla Popolare di Lodi.
Fiorani: «Oggi c'è un consiglio Earchimede e tu hai un tuo consigliere dentro e anche un sindaco».
Consorte: «Certo».
Fiorani: «Loro deliberano diciamo temporaneamente con T maiuscola dell'acquisto di pìartecipazioni nostre che sono Ducato (...) e, aspetta... Efibanca».
Fiorani: «E vengono deliberate con lo scopo di fare un'operazione diciamo così... di...».
Consorte: «Ho già capito!».
La «talpa» a palazzo di Giustizia
Consorte è anche l'interlocutore rassicurato dalla "talpa" di palazzo di Giustizia. Era infatti in contatto con il giudice Francesco Castellano (quello che ha "prescritto" Berlusconi nel processo Sme): più di quindici telefonate tra i due, dal 5 luglio fino al 25 del mese. Secondo quello che poi Consorte diceva agli altri suoi interlocutori, Castellano lo avrebbe rassicurato: state tranquilli, il giudice interviene lui sui magistrati di Roma.
Fassino, Consorte e il governatore
«Dobbiamo stare attenti a non indebolire l'istituzione Bankitalia», dichiara Fassino il 27 luglio. Ma l'istituzione è indebolita dal governatore con i suoi comportamenti, non da chi eventualmente chiedesse la sue dimissioni. Invece la sinistra è cauta. Dai vertici Ds un silenzio assordante per due giorni. Poi la soffice dichiarazione di Fassino, di ritorno dalla Turchia. Da D'Alema, per ora, neanche un soffio. Bersani: «Non possiamo aprire adesso il tormentone estivo "Fazio sì, Fazio no", in questo modo si va allo sfascio».
29.07.2005 - Buonsenso
Il governatore e gli scalatori mascherati
Una sotterranea «Bicamerale della finanza» sta cercando di ridisegnare il profilo del capitalismo italiano
di Gianni Barbacetto
Colpo di scena, signore e signori, in questa grande storia italiana, anzi europea, di soldi, banche e potere che Diario vi sta raccontando da otto settimane: lunedì 25 luglio la procura di Milano ha ordinato il sequestro d’urgenza del 40 per cento delle azioni Antonveneta in mano agli scalatori (il Gianpiero Fiorani della Popolare di Lodi e altri sette suoi amiconi, tra cui il finanziere bresciano Chicco Gnutti e gli immobiliaristi romani Stefano Ricucci e Danilo Coppola).
I due ragazzi terribili della procura, Eugenio Fusco e Giulia Perrotti, hanno messo nero su bianco che «occorre prevenire ulteriori condotte criminose» e dunque hanno ordinato il sequestro senza neppure aspettare un provvedimento del giudice delle indagini preliminari. Anche perché per mercoledì 27 era prevista, in seconda convocazione, l’assemblea degli azionisti di Antonveneta e bisognava impedire che le quote rastrellate contro ogni regola da Fiorani e compagni fossero usate contro quei poveri illusi degli olandesi di Abn Amro che avevano fatto una regolare opa su Antonveneta credendo che in questo Paese le regole valessero per tutti.
Ma c’è un colpo di scena nel colpo di scena: nel decreto di sequestro delle azioni, ci sono alcuni edificanti esempi di colloqui telefonici tra Fiorani e il governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Che a parlare con il banchiere di Lodi sia il governatore in persona è una bomba. Anche perché Fazio, secondo quanto risulta dalla sua stessa voce, non esita a chiamare nella notte l’amico Fiorani per annunciargli: «Ho appena messo la firma». Sono le 00.12 del 12 luglio e il governatore gli comunica che ha stracciato le conclusioni negative degli ispettori della Banca d’Italia e ha dato il suo via libera alla Popolare di Lodi che si lancia ufficialmente all’attacco di Antonveneta, dopo aver però già rastrellato in maniera occulta consistenti pacchetti di azioni. «Tonino, io sono commosso», risponde Fiorani a Fazio, «io ti ringrazio... ti ringrazio... ho la pelle d’oca... io, guarda Tonino, ti darei un bacio sulla fronte, ma non posso farlo... so quanto hai sofferto... prenderei l’aereo e verrei da te in questo momento se potessi!».
Che il rapporto tra i due fosse stretto era noto, ma ora è dimostrato in diretta dai loro salamelecchi telefonici. Il 5 luglio, quando Abn Amro, povera ingenua, chiede una proroga alla scadenza della sua opa, Fazio dice a Fiorani: «Allora se tu vieni da me verso le 15, le 15.30, stiamo insieme un’ora, un’ora e mezza, ché... diciamo... voglio verificare un insieme di cose... L’unica cosa: passa come al solito, dal dietro... dietro di là». E Fiorani: «Sì, va bene... sennò sono problemi...».
Giornalismo kamikaze. Intermezzo comico. Il giorno del colpo di scena, esilarante editoriale sulla prima pagina del Giornale: «E se qualcuno fosse stato in pensiero, ora può stare tranquillo. Sulla storia delle banche siamo arrivati anche alle intercettazioni, naturalmente fatte filtrare ad arte fuori dai palazzi di giustizia». E ancora: «Lunedì “escono le intercettazioni”, cioè qualcuno decide che in quel giorno è il momento “giusto” per farle uscire». E di nuovo, ossessivamente: «Ci dovrebbero spiegare che bisogno c’era di fare uscire le intercettazioni...». Effettivamente le intercettazioni «sono uscite» martedì 26 luglio. Ma su un solo, unico quotidiano: il Giornale, per la firma di Gianluigi Nuzzi. Un caso di scoop suicida, di giornalismo kamikaze.
In più, l’editoriale del Giornale s’interroga: «Tra tutte le intercettazioni, fior da fiore, hanno beccato proprio quelle con il governatore della Banca d’Italia». Ma pensa un po’: quegli indiscreti dei magistrati hanno prestato attenzione alle telefonate di Fiorani ad Antonio Fazio, invece di quelle del banchiere al bar o alla zia.
Che poi siano finite proprio e solo sul Giornale, malgrado la procura avesse blindato le indagini per non farle trapelare (e con successo, a parte il Giornale), secondo i bene informati vuol dire che è scattata la «smagliatura Tremonti»: l’ex ministro delle Finanze, grande nemico di Fazio, ha ancora amici ai vertici della Guardia di finanza, che sta facendo le indagini per la procura di Milano, e ha amici anche al Giornale.
La novità (con buona pace del Giornale) è l’entrata del governatore sulla scena giudiziaria. Che nella vicenda delle scalate Fazio fosse fazioso e non arbitro imparziale era già noto e anche Diario l’aveva variamente, nelle settimane scorse, cercato di documentare. Questa storia, del resto, è piena di cose già scritte di cui nessuno vuole però prendere atto (scalatori mascherati, scalate a rischio crac, immobiliaristi dai soldi dubbi, regole dribblate, amnesie della sinistra, scambi di cortesie destra-sinistra...). Il fatto è che ora ci sono le prove in presa diretta dell’incredibile «concerto» tra Fiorani e Fazio.
Possibili conseguenze. Uno: il governatore vedrà presto il suo nome inserito tra gli indagati per reati finanziari, insieme a Fiorani, Ricucci e gli altri? Due: si dimetterà? In un Paese normale la risposta alla seconda domanda sarebbe sì, invece la Banca d’Italia ha subito emesso una nota in cui sostiene che tutto va bene e che le autorizzazioni concesse a Fiorani erano atti dovuti.
Del resto, chi mai chiederà seriamente le dimissioni del governatore? Neppure il centrosinistra, preoccupato che poi il nuovo numero uno della Banca d’Italia nasca sotto l’ombrello del governo Berlusconi. I Ds, in più, di Fazio hanno bisogno, per portare a compimento nei prossimi mesi la scalata della «rossa» Unipol su Bnl.
Rischio crac. Anche nei giorni precedenti il gran colpo di scena, ne sono successe di cose. 20 luglio, intervista di Massimo Mucchetti a Romano Prodi sul Corriere («I politici pensino alle regole, non agli affari», «Fazio non agisce da arbitro ma da parte in gioco», «Il capitalismo si ammala se le leggi rendono convenienti la speculazione e non la produzione e l’innovazione»). 21 luglio, intervista di Alberto Statera a Massimo D’Alema su Repubblica (con una conferma: «Ma sa che le dico? Nei confronti dell’Unipol c’è una campagna razzista»; e un aggiustamento di tiro: sulla scalata al «Corriere è giusto chiedere maggiore chiarezza»). 22 luglio, fallimento delle offerte pubbliche degli olandesi di Abn Amro su Antonveneta e dei baschi del Banco di Bilbao su Bnl. 23 luglio, scoperta che l’intervento dell’azionista romano Stefano Ricucci all’assemblea Antonveneta – potenza della Padania – era stato scritto a mano a Lodi, negli uffici di Fiorani: che «concerto» di idee!
Del resto, Fiorani è un banchiere creativo, che oltre a far comprare azioni sottobanco agli amici e ai misteriosi fondi gestiti alle Cayman da Luigi Enrico Colnago (sempre con soldi generosamente erogati dalla sua banca), ha saputo anche inventarsi un modo geniale per finanziare la sua pericolosa scalata al potere: realizza cessioni di quote di società controllate che in realtà sono onerosissimi prestiti mascherati. Un esempio lo ha raccontato Mario Gerevini sul Corriere. Fiorani ha «venduto» a Deutsche Bank il 10 per cento della Cassa di Bolzano, realizzando ben 183,4 milioni di euro. Bravo, no? Peccato che una quota identica, il 10 per cento della stessa banca bolzanina (anzi, un 10 per cento più prezioso, perché permetteva di arrivare al 58 per cento, cioè al controllo assoluto), fosse stata venduta esattamente un anno fa alla Bayerische Landsbank a soli 79,2 milioni.
Dunque, Fiorani è un mago capace di valorizzare del 120 per cento in un anno una sua partecipazione. Ma questo lo crede solo Fazio. Chi guarda le carte, più prosaicamente, è portato a pensare che Fiorani parcheggi pacchetti di azioni presso banche e finanziarie (Deutsche Bank, Dresdner, Earchimede di Chicco Gnutti) allettate da sostanziose commissioni. Con questo sistema porta a casa circa un miliardo di euro, da buttare nella scalata Antonveneta. Domani, dopo aver conquistato la banca di Padova, si dovrà riprendere le sue partecipazioni, che aveva venduto ma con l’elastico (un elastico che in finanza si chiama opzione call).
C’è un’incognita. Se non la conquista, l’Antonveneta, che cosa succederà di Fiorani? Dove troverà i soldi per ricomprare tutte le sue vendite con l’elastico? Queste sono operazioni a rischio crac. Oh, non ci venite a dire che siamo uccelli del malaugurio, quando ripetiamo che le società alle Cayman di Fiorani ricordano tanto le consociate andine dell’Ambrosiano di Roberto Calvi e che la nuova sigla della banca di Fiorani (Bpi, Banca popolare italiana) è la stessa di Sindona (Bpi, Banca privata italiana)...
Bicamerale della finanza. Come passerà le vacanze il governatore Fazio? Chissà. Ma non sembra che debba preoccuparsi troppo. Sembra blindato, a destra e a sinistra. E qui si apre l’altro capitolo, quello sull’altra scalata: Unipol alla conquista di Bnl, dopo il fallimento del Banco di Bilbao. Fazio ha già fatto capire che permetterà la conquista. Così ha portato dalla sua parte quella larga parte della dirigenza Ds (D’Alema e Fassino in testa) che tifa per Unipol e per dare una banca al mondo delle cooperative. Aspirazione legittima, anche se un po’ rischiosa dal punto di vista finanziario per la compagnia guidata da Giovanni Consorte e per le coop che l’hanno seguito.
Meno legittimo è che la politica tifi per uno schieramento finanziario e, in forza di ciò, abbassi il livello critico. Accettando Fiorani (e anche Ricucci, che in fondo «non c’ha la rogna») perché sia data via libera a Consorte. Sì, questa grande storia italiana, anzi europea, di banche e scalate e potere è fatta di vicende diverse (Antonveneta, Bnl, Rcs, Mediobanca...), ma ha una sua sostanziale unitarietà, una rete unica, anche se articolata, di protagonisti e comprimari, banchieri, finanzieri e politici, stretti attorno al governatore Fazio, che si crede il nuovo Cuccia. Per questo rischia di diventare una «Bicamerale della finanza» fatta di scambi e concessioni reciproche. Un grande accordo sotterraneo per ridisegnare il volto del (debole) capitalismo italiano. Tangentopoli, al confronto, è archeologia. Sembra averlo intuito Prodi, quando si mostra preoccupato che si stia aprendo una nuova stagione di commistioni tra politica e affari.
Ancora una volta, sono dovuti intervenire i magistrati per svelare i giochi sporchi. E qualcuno ha già cominciato a lamentarsi dell’invadenza dei giudici. Peccato che, prima di loro, nessuno di chi poteva parlare lo abbia fatto: né Bankitalia, né la politica. Tutti impegnati a tifare e tramare, invece che a regolare.
22.07.2005 - Diario
«Compagno Ricucci» e Consorte
Che scandalo per quel «Compagno Ricucci» sparato sulla copertina di Diario sei settimane fa. Proteste, scuotimenti di teste, sorrisi di sufficienza. Per dire cose simili, aveva dichiarato Massimo D’Alema, bisogna essere «stupidi o mascalzoni». Ora che è partito l’assalto di Unipol a Bnl, quel «Compagno Ricucci» – che semplicemente poneva sul tappeto in modo giornalistico il problema della «finanza rossa» e dei suoi strani alleati – ha una sua consacrazione dai fatti.
In queste sei settimane abbiamo avuto ripetute dichiarazioni di Massimo D’Alema, Piero Fassino, Pierluigi Bersani e altri esponenti Ds in difesa degli immobiliaristi, tanto costruire automobili vale quanto vendere case e poi Ricucci «non c’ha la rogna». Qualcuno, saggiamente, ha ribattuto che il capitalismo non sarà questione di pedigree, ma di trasparenza sì. Inascoltato, mentre la Consob e almeno tre Procure (Roma, Milano, Brescia) indagano proprio sulla scarsa trasparenza di Ricucci e compagni. Ma che importa? «È tanto nobile costruire automobili o essere concessionario di telefonia, quanto operare nel settore finanziario o immobiliare», dice Fassino senza fare un plissé.
Così, sdoganata politicamente la «rude razza romana», alleata a geometria variabile con i «capitani coraggiosi» che tanto piacevano a D’Alema fin dai tempi della scalata Telecom e con i «banchieri padani» stile Gianpiero Fiorani, ora la «finanza rossa» passa in prima linea e punta direttamente su Bnl. Con una operazione che galvanizza una parte della sinistra e del mondo cooperativo, ma che potrebbe essere il primo mattone di una Torre di Babele.
Adesso chi continuava a chiedersi chi c’è dietro a Ricucci e chi gli ha dato i soldi, avrà finalmente una risposta: «La finanza rossa», dice sorridendo un banchiere, indicando i 210 milioni di euro che saranno versati a Ricucci da Unipol. La compagnia assicurativa guidata da Giovanni Consorte, infatti, pagherà complessivamente 1,2 miliardi di euro per il 27,5 per cento di azioni Bnl nelle mani del cosiddetto «contropatto degli immobiliaristi». Così Ricucci, Francesco Gaetano Caltagirone, Giuseppe Statuto, Danilo Coppola, Vito Bonsignore e compagni di scalata avranno carburante per nuove avventure: l’assalto a Rcs? a Mediobanca? a Generali?
Se Ricucci ora conquisterà il Corriere, magari – chissà – per offrirlo a Berlusconi, sarà chiaro da quale Bicamerale sotterranea della finanza sarà nata la spartizione delle spoglie degli ex salotti buoni del capitalismo italiano in declino. Ma questa è fantascienza, delirio complottista.
Più concreto è il meccanismo da cui l’assalto Unipol-Bnl nasce. C’è un’uguaglianza asimmetrica, nell’operazione. Gli azionisti sono tutti uguali – come dice Fassino – quando si tratta di legittimare oscuri speculatori con soldi tirati fuori da chissà dove. Non sono tutti uguali quando invece si tratta di pagare: ci sono gli azionisti normali e gli azionisti furbi (quelli del «contropatto»), ricompensati con plusvalenze da favola. Tanto le scalate, in Italia, non si fanno con le regole, ma con manovre di palazzo.
Come l’altra scalata, quella all’Antonveneta lanciata da Gianpiero Fiorani e dalla sua Popolare di Lodi diventata Banca popolare italiana (Bpi, la stessa sigla – guarda gli scherzi del destino – della Banca privata italiana di Michele Sindona). Fiorani trova i soldi per andare alla conquista dell’istituto padovano con cessioni che sembrano tanto prestiti travestiti. E con il parere negativo dei tecnici di Bankitalia (per assenza dei requisiti patrimoniali), superato d’imperio dal governatore Antonio Fazio.
L’Europa ci guarda e allibisce. Saranno anche stranieri, gli olandesi dell’Abn-Amro e gli spagnoli del Banco di Bilbao, ma avevano fatto offerte pubbliche chiare e trasparenti, per Antonveneta e per Bnl, secondo le regole che sembravano vigenti in Italia. Ora si sono accorti che le regole non sono uguali per tutti. Che in Italia è possibile fare scalate a debito, con cordate occulte, mentendo spudoratamente alle autorità di controllo e al mercato, potendo contare per di più sul sostegno di quello che dovrebbe essere l’arbitro (e cioè il governatore di Bankitalia). Se il colpo riesce, i vincitori faranno pagare alle prede i costi della stangata.
Gli uomini nuovi della finanza italiana fanno così, così si muovono i Fiorani, i Consorte, i Ricucci, a cui piace il palcoscenico e lo show più che i conti e i bilanci. Tanto per fare un esempio, Mario Gerevini spiega sul Corriere economia che il primo azionista della Popolare di Lodi (con il 4,1 per cento) è il fondo Victoria&Eagle, domiciliato alle Cayman. Chi c’è dietro? La stessa Popolare di Lodi, che ci ha investito 153,5 milioni di euro: giochetti simili non li faceva un certo Roberto Calvi, nelle sue filiali andine? Eppure i vertici del maggior partito della sinistra italiana non vedono nulla di strano in questa corsa senza regole a costruire il nuovo capitalismo nel Paese rimasto senza un Enrico Cuccia e in pieno declino industriale.
In questo quadro, perfino Marco Follini, segretario dell’Udc, riesce a dire una cosa saggia, replicando sul Sole 24 ore a Piero Fassino: «Credo che ci sia un certo eccesso di zelo in una cultura politica che ha scoperto il mercato in tarda età e ha finito qualche volta per farsi affascinare dai suoi aspetti più ambigui e tortuosi». Ma Consorte esulta, il mondo cooperativo è in tripudio, la sinistra è felice e si appresta così a entrare in campagna elettorale contro il partito-azienda di Silvio Berlusconi.
19.07.2005 - La Stampa
Borsellino, l'ipocrisia che uccide
di GianCarlo Caselli
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17.07.2005 – Famiglia Cristiana
Mafia e criminalità minano l’Italia
di Adriano Sansa
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Tutto si può dire di questo governo, salvo che non si occupi di mafia. Per celebrare degnamente il 13° anniversario dell' assassinio di Paolo Borsellino e della scorta, è tutto un fervore di iniziative commemorative. Anzitutto, la legge ad personam che richiama dalla pensione il giudice di Cassazione che assolveva i mafiosi accusati da Falcone e Borsellino: l'ottimo Corrado Carnevale, lo stesso che al telefono definiva i due colleghi ammazzati «i dioscuri», li accusava di avere «una professionalità prossima allo zero», e aggiungeva: «Io non li rispetto neanche da morti». Poi la legge contra personam che trucca il concorso per la Procura Antimafia tagliando fuori Gian Carlo Caselli, cioè l'uomo che Borsellino designò come suo successore nell'estate '92, mandandogli a dire da un ufficiale dell'Arma che «non è ancora giunto il momento della pensione». Ora Caselli ha 66 anni, dunque dev'essere prepensionato perché non si occupi più di mafia, mentre Carnevale di anni ne ha 74, dunque deve rientrare dalla pensione per tornare a occuparsi di mafia. Le sentenze che condannano boss e killer di Via d'Amelio dicono che bisogna cercarne i «mandanti esterni». Ma il pm Chelazzi che li cercava a Firenze è morto d'infarto, il pm Tescaroli che li cercava a Caltanissetta è stato messo in condizione di andarsene e i pm che li cercavano a Palermo (Scarpinato, Lo Forte e Ingroia) sono stati estromessi dal pool antimafia. I mandanti esterni possono dormire sonni tranquilli, circolare a piede libero, magari partecipare alle celebrazioni di Borsellino a Palermo, dove - in coerenza con l'aria che tira - per la prima volta non è stato invitato Caselli. Il ministro Nullardi, che nel 2001 annunciò che «con la mafia bisogna convivere», non ci sarà: l'anno scorso lo mandarono a inaugurare la stele per Falcone, sull'autostrada di Capaci, a braccetto col ragionier Pera. Anche il presidente del Senato, a suo modo, ha dato il suo contributo nominando Dell'Utri rappresentante d'Italia al Consiglio d' Europa. «Quell'organismo comunitario - ricordava l'altro giorno David Lane dell'Economist - nomina i giudici europei. Come inglese, mi vergogno di essere rappresentato da Dell'Utri e mi indigna che i giudici che giudicheranno anche me li nomini uno come Dell'Utri». Pera, invece, non si vergogna e non s'indigna. Ha altro da fare. E se questa è la seconda carica dello Stato, figurarsi la terza: anche Piercasinando ha voluto rendere nota la sua «stima e amicizia» per Dell'Utri. Lo fece nel dicembre scorso, comunicando di avergli telefonato mentre i giudici di Palermo entravano in camera di consiglio. Ne uscirono qualche giorno dopo con una condanna a 9 anni per mafia. Ora, grazie alle motivazioni, si sa che lo stimatissimo amico del presidente della Camera è «da trent'anni il tramite fra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi». Sentenza «in nome del popolo italiano», lo stesso popolo italiano che Casini, Pera e Berlusconi rappresentano ai massimi livelli. La sentenza dice che il premier è «un industriale disposto a pagare (Cosa Nostra) pur di stare tranquillo». Lui non si limitava a convivere genericamente con la mafia: conviveva proprio con un boss mafioso, il celebre Vittorio Mangano, ospite per due anni nella sua villa ad Arcore travestito da stalliere. Quel Mangano che Falcone e Borsellino fecero condannare al maxiprocesso a 13 anni e 4 mesi di droga. Quel Mangano «testa di ponte della mafia al Nord» di cui parlò Borsellino, accennando anche a indagini sui suoi rapporti con Berlusconi e Dell'Utri, a due giornalisti francesi. Mancavano due giorni all'assassinio di Falcone e 58 giorni al suo. Ora il Tribunale dice che Dell'Utri, per tre decenni, ha «volontariamente rafforzato» Cosa Nostra,il «sodalizio criminoso più pericoloso e sanguinario del mondo». Prima e dopo le stragi, fu «disponibile verso l'organizzazione mafiosa nel campo della politica, in un periodo in cui Cosa nostra aveva dimostrato la sua efferatezza criminale con stragi gravissime, espressioni di un disegno eversivo contro lo Stato». Dell'Utri inventò Forza Italia e «promise aiuti concreti e importanti a Cosa nostra in cambio del sostegno a Forza Italia». Questo affermano i giudici, incuranti delle telefonate di Piercasinando. E se, nonostante tutto, scrivono ancora sentenze così, ha ragione Berlusconi: sono «matti, antropologicamente diversi dal resto della razza umana». Ecco perché almeno lui continua a occuparsi di loro. Un ottimo motivo per seguitare a occuparcene anche noi.
15.07.2005 - Diario
Siena, Ds contro i Ds
Questa settimana si scopre che Stefano Ricucci, lo scalatore di Rcs, piace anche al segretario Ds Piero Fassino, che il 7 luglio dichiara al Sole 24 ore: «Non c’è un’attività imprenditoriale che sia pregiudizialmente migliore o peggiore di un’altra. (...) È tanto nobile costruire automobili o essere concessionario di telefonia, quanto operare nel settore finanziario o immobiliare».
Gli risponde Andrea Pininfarina, vicepresidente della Confindustria: «Non mi pare il caso di mettere sullo stesso piano, dal punto di vista dello sviluppo di tutto il Paese, chi fa impresa e chi di mestiere fa il raider finanziario». Il 12 luglio dice la sua anche Mario Baccini, Udc, ministro della Funzione pubblica: «Più industria, meno finanza», chiede in sostanza, affermando che quelli di Ricucci sono affari che sembrano «catene di Sant’Antonio, che non producono ricchezza».
Mentre Ricucci (sposo il 9 luglio) è sotto indagine penale e la sua trasparenza è vicina allo zero, Fassino sembra non vedere il problema: «Spetta a Consob, Antitrust, Autorità delle comunicazioni, Vigilanza della Banca d’Italia garantire le regole, non a me», dice il segretario Ds. Che concede la sua benedizione anche alla rischiosa scalata di Unipol su Bnl. «Se le cooperative crescono, a me fa piacere», aggiunge Fassino.
Per conquistare Bnl, Giovanni Consorte, numero uno di Unipol, tratta con gli immobiliaristi del contropatto, che controllano il 27,5 per cento della banca romana. Trattativa che si dimostra più lunga e complicata del previsto. Consorte deve trovare i soldi, 2-2,5 miliardi di euro per un aumento di capitale, e realizzare cessioni che non intacchino i ratios della compagnia. Poi deve ottenere i via libera delle autorità di controllo. E il tempo stringe: il 22 luglio terminerà l’opa su Bnl degli spagnoli di Bbva.
Sul fronte della scalata Antonveneta, gli olandesi di Abn Amro ottengono una proroga della loro opa tutta in contanti fino al 22 luglio. Un comunicato di Bankitalia il 5 luglio difende il suo direttore centrale della Vigilanza, Francesco Frasca, indagato per non aver vigilato sulla scalata sotterranea della Popolare di Lodi. Un comunicato non era stato stilato neppure quando la procura di Trani aveva indagato il governatore Antonio Fazio in persona, per il collocamento di prodotti MyWay e 4You.
Indagati dalla procura di Roma anche Giovanni Benevento e Gianpiero Fiorani (presidente e amministratore delegato della Popolare di Lodi, ora Bpi) per ostacolo all’attività di vigilanza. Bankitalia non ha ancora dato il via libera all’opas di Fiorani su Antonveneta. Gli analisti moltiplicano le domande sul modo con cui Fiorani ha ricostruito il patrimonio primario della sua banca, ipotizzando che le dismissioni (per 1,08 miliardi) siano prestiti mascherati.
Nel frattempo al Monte dei Paschi (Mps) arriva una doppia condanna, dal tribunale di Firenze e da quello di Brindisi, per mancata trasparenza proprio sui prodotti finanziari MyWay e 4You dei tempi della Banca 121 di Vincenzo De Bustis, oggi alla Deutsche Bank Italia. Mps questa volta sta fuori dalla partita, non sostiene Consorte e critica Fassino. «Il Monte con Bnl», dichiara il sindaco di Siena Maurizio Cenni, «sarebbe stato una banca che per tre, quattro anni non avrebbe prodotto reddito». E Giuseppe Mussari, presidente della Fondazione Montepaschi, dichiara, dubbioso, al Mondo: «Il punto è capire se i capitali che sono derivati legittimamente dalla bolla immobiliare si tradurranno poi in iniziative imprenditoriali vere, capaci di produrre ricchezza nuova e reale».
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Abbiamo cercato, già che
si doveva operare sul sito,
di rinnovarlo e migliorarlo.
Ci sono ancora alcune cose
da sistemare e lo faremo
nei prossimi giorni.
Ma intanto si riparte!
Andiamo avanti.
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Savona,
chi sapeva ed
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