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La mappatura della Liguria
con le famiglie di 'Ndrangheta
e le radici di Cosa Nostra.
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Quella realtà di Diano Marina
che vorrebbe oscurare i fatti,
oscurando noi. Tutta la storia.
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Le cementificazioni hanno un
prezzo come la mancata messa
in sicurezza del territorio
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La messa in sicurezza latita,
la bonifica è lontana e qualcuno
vuole anche riaprire la Discarica.
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L'esercito criminale
Gli affiliati di camorra sono 2.480. Con i familiari e l'indotto si arriva a 50 mila persone. Dai dati della prefettura, l'allarmante censimento della malavita
Quando a Scampia si moriva una volta al giorno, il governo di allora mise in campo il gruppo interforze. A Napoli polizia, carabinieri, finanza, Direzione investigativa antimafia dovevano scambiarsi le informazioni e colpire i clan con le misure di prevenzione. Dal 2004, secondo dati del ministero dell'Interno, la polizia ha presentato 127 proposte di blocco dei beni per un valore di 400 milioni. Ma una cosa è il ministero dell'Interno, un'altra è il ministero della Giustizia. E senza giudici in aiuto, di quelle 127 richieste soltanto 22 sono state concesse. Nel giro di pochi mesi il Tribunale, con due collegi da tre giudici dedicati alle misure preventive, ha fatto sapere di non potersi più occupare soltanto di provvedimenti patrimoniali. Così il gruppo interforze si è fermato senza che nessuno ne parlasse. In silenzio, come la guerra di Scampia e Secondigliano che intanto continua: 11 omicidi dall'inizio dell'anno.
A Napoli e provincia la polizia schiera 4.500 persone. I carabinieri 3.400. La Finanza circa 2 mila. L'impiego arriva a quattro persone in strada ogni persona in ufficio per la polizia, tranne che per i servizi amministrativi (60 persone), l'ufficio personale (100) e l'ufficio immigrazione. Per i carabinieri la media è di uno a uno: metà in strada e metà in attività logistica e d'ufficio. La camorra conta invece su 1.260 affiliati in città. E 1.220 in provincia. È il censimento aggiornato alla scorsa settimana secondo le mappe consegnate alla Prefettura e al Viminale (vedi tabelle). In tutto 2.480 camorristi soltanto nel Napoletano, in base a indagini già concluse o ancora in corso. Ai quali vanno aggiunti le mogli, i figli, i familiari. E l'indotto: il sottobosco di migliaia di persone che arrotonda lo stipendio, vive, ha trovato lavoro o risparmia grazie alla camorra e alle sue reti commerciali. Le stime calcolano complessivamente a Napoli almeno 50 mila simpatizzanti. È proprio questa la forza di 'o sistema: un fiume di soldi da far correre.
Contro di loro è schierato uno Stato che, a forza di tagli alla spesa ed evasione fiscale, non stanzia più risorse. In città molte pattuglie di vigili non danno multe perché sono finiti i blocchetti. L'ultima moda diffusa in provincia è rapinare le auto e restituirle ai proprietari in cambio di un riscatto. Le indagini però vanno a rilento perché le stazioni locali dei carabinieri non riescono a prendere le impronte digitali sulle macchine restituite: ci sono pochi soldi per comprare i materiali e ancor meno militari che li sappiano usare. Le nuove auto della polizia che stanno per arrivare a Napoli verranno intanto sottratte dalle questure italiane: due per ogni questura. Il Viminale ha da poco invitato tutti gli uffici a ridurre o eliminare del tutto anche il lavaggio delle volanti. "Quelle fatte su Napoli", spiega Giuseppe Tiani, segretario generale del sindacato di polizia Siap, "sono scelte operative obbligate per via della mancanza di investimenti nel bilancio ordinario. Chiudere alcuni commissariati, come è stato annunciato, potrebbe anche servire. Ma non si può sempre operare sull'emergenza. Al 31 luglio 2006 la polizia era sotto organico di 7.984 persone. Entro il 2008, con il turnover, l'organico sarà sotto di 13 mila unità. L'età media dei poliziotti ha superato i 40 anni. La sicurezza dei cittadini è un bene strutturale come fare autostrade. Non si può agire solo sull'onda delle emergenze". Intanto miliardi di euro in tutta Italia finiscono alle polizie private: "Questo è un problema in più. La domanda da porsi è questa: la privatizzazione della polizia costa allo Stato più o meno dell'impiego dei poliziotti?".
F. G.
10.11.2006 - L’Espresso
A lezione di legalità
Continua la battaglia della Procura di Reggio Calabria contro i giornali che pubblicano la relazione esplosiva sugli affari sporchi nella Asl di Locri. Il procuratore capo Antonino Catanese indaga per rivelazione di segreto una mezza dozzina di giornalisti: dal direttore de 'la Repubblica' a quello del quotidiano locale 'Calabria ora'. Dal sito 'Democrazia e legalità' a 'La casa della legalità'. La loro colpa? Avere pubblicato integralmente la relazione della commissione sulla Asl di Locri istituita dal ministero dell'Interno dopo l'omicidio del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno, già primario a Locri. La relazione descriveva l'infiltrazione della criminalità nella Asl e il viceministro dell'Interno Marco Minniti disse che "bisognerebbe leggerla nelle scuole". Ora Christian Abbondanza, direttore del sito 'Democrazia e legalità', indagato anche lui, gli lancia un appello: "Chiediamo a Minniti di leggerla alla radio o sul web. Noi pubblicheremo l'audio. Così gli italiani, che non possono leggerla, almeno l'ascolteranno".
Ringraziamo l’Espresso, unica testata giornalistica nazionale che non ha nascosto la notizia, le altre continuano a procrastinare, farla girare da una redazione all’altra, da una città all’altra. In effetti, come dice Elio Veltri, sono Bazzecole! Questa mattina, ringraziandoli, anche con gli amici di Democrazia e Legalità, abbiamo chiesto di precisare che il sottoscritto è Presidente della “Casa della Legalità”, mentre il Direttore della Testata on-line “Democrazia e Legalità” è Elio Veltri
PS
La stampa nazionale quando parlerà di questi eventi e fatti inquietanti? I giornali come Repubblica che hanno ricevuto, come anche la Gazzetta del Sud, le "visite", quando denuncieranno questi episodi pubblicamente? Si preferisce accettare l'"invito" o si vuole comunemente difendere il diritto (che è anche dovere!) di cronaca e libera, completa informazione? E la Federazione Nazionale della Stampa, che fa? Non si potrebbe prendere d'esempio la coerenza della testata Democrazia e Legalità, come di Calabria Ora e della Radio 24 del Sole 24 Ore? I blog, i siti che diffondono queste notizie sono ogni giorno sempre di più, come coloro che diffondono la Relazione. Ripetiamo: accetatte l'invito dei "visitatori" e dei "prevaricatori", tacendo? (qualche giorno fa abbiamo scritto un commento, continua qui)
10.11.2006 - dal sito di MegaChip
La sottile linea democratica
Il segretario di Magistratura Democratica, Ignazio Juan Petrone, in una lettera inviata all'associazione Democrazia e Legalità di Elio Veltri, oscurata di recente per aver svolto il proprio ruolo di divulgazione in nome della legalità, segnala una preoccupazione: "nell'ultimo periodo si stanno moltiplicando perquisizioni e sequestri presso organi d'informazione e singoli giornalisti [...] non esiste un bilanciamento tra la segretezza o la riservatezza di alcuni atti e il fondamentale diritto di informazione, di cui all'21 della costituzione?". Non possiamo fare altro che associarci in pieno e attendere una risposta, se mai ci sarà, dal ministro dell'Interno e da quello della Giustizia.
Il Caso – I provvedimenti per boss e killer della ’ndrangheta. Il procuratore Grasso: numeri spaventosi
Stop a mille fermi in Calabria ”Pochi giudici, nessuno li ordina”
di Attilio Bolzoni
Sono almeno mille gli uomini della ‘ndrangheta che se ne vanno tranquillamente a spasso per colpa di una giustizia che non funziona.
Per tutti loro è già stato richiesto l’arresto da più di un anno ma sono tutti fuori, sono tutti liberi. Boss, aspiranti boss, trafficanti di coca e mercanti di armi. Il loro numero, esatto, si conoscerà fra qualche giorno quando un censimento sarà ultimato e tutti i dati finiranno sulle scrivanie del ministro degli Interni e del Guardasigilli. E’ una montagna di ordini di custodia cautelare “congelate” quella che marcisce nelle procure antimafie di Reggio e Catanzaro, le trincee giudiziarie calabresi.
Richieste di arresto per omicidio, strage, commercio di stupefacenti, estorsione, associazione per delinquere di stampo mafioso. Tutti rapporti presentati fin dai primi mesi del 2005 dagli organi investigativi, squadre mobili, reparti speciali e territoriali dei carabinieri, nuclei di polizia tributaria della guardia di finanza. E tutti rapporti ancora fermi in quegli imbuti che sono diventati gli uffici dei giudici delle indagini preliminari dei due tribunali.
Il monitoraggio sullo stato di salute della giustizia calabrese è partito qualche mese dopo il delitto eccellente di Locri, il vice presidente del consiglio regionale Francesco Fortugno ucciso da un sicari il 16 ottobre dell’anno scorso nel seggio delle primarie dell’Unione. Da un primo controllo dei fascicoli – ordinato dalla Procura nazionale antimafia e dal ministero degli Interni – stanno emergendo quei numeri impressionati e si sta scoprendo la quasi totale paralisi delle attività giudiziarie delegate al contrasto della criminalità organizzata. “E’ vero, sono numeri spaventosi. E sono la prova di quanto sia urgente cambiare sistema”, rispondere il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso.
Aggiunge Grasso: “O si aumenta il numero dei gip o si snelliscono le procedure o si deve pensare a qualcosa che dia più poteri ai pubblici ministeri e alla polizia giudiziaria”:
Troppe denunce, troppi indagati, troppi dossier che transitano per le procure antimafia calabresi e che poi si accumulano per mesi o anche per anni negli armadi blindati di coloro che valutano indizi e prove, i giudici. Dice ancora il procuratore Grasso: “Non basta inviare più poliziotti in un’area come la Calabria o in città come Napoli, se poi i producono più in un’area come la Calabria o in città come Napoli, se poi si producono più inchieste senza però aumentare i magistrati. Più inchieste presuppongono più pubblici ministeri e più giudici, sennò il sistema va verso il collasso. E se certi imputati poi escono per mancanza di indizi o per decorrenza dei termini, si certifica una doppia sconfitta dello Stato”.
Ma quali sono queste ordinanze di custodia cautelare che “pendono” tra Reggio e Catanzaro? E soprattutto perché? Riguardano esclusivamente reati di crimine organizzato, di ‘ndrangheta. Dal racket agli appalti pubblici pilotati, dagli omicidi della locride ai grandi traffici. Sono centinaia gli indagati per il business della cocaina. La principale causa del “blocco” di questi provvedimenti è l’organico dei giudici delle indagini preliminari, un piccolo drappello rispetto ai loro colleghi della Procura. Ingolfati dalle carte, sempre in bilico tra l’essere accusati di fare da zerbino ai pm (se convalidano a raffica le loro richieste) e l’essere accusati di eccessivo zelo (se dedicano a mesi e mesi anche a una sola inchiesta) quando quelle carte le studiano a fondo. E’ l’imbuto. E’ questa, in sostanza, la ragione per la quale quei mille uomini di ‘ndrangheta sono ancora liberi.
In verità, c’è da aggiungere un ultimo elenco alla vicenda delle richieste di arresto ferme in quelle due procure della Calabria: la qualità delle investigazioni antimafia. In passato, e soprattutto in questa regione, le indagine sono sempre state di livello. E’ capitato pure che abbiano sfornato cascate di ordini di cattura e dopo pochi giorni, gli interessati se ne siano tornati a casa felici e contenti. Un caso per tutti: la retata a Platì di due anni fa. Centoquattro i denunciati dai Carabinieri, centoquattro i fermi voluti dai pm, centoquattro le ordinanze di custodia cautelare firmate dai Gip. E quasi cento cittadini di Platì subito scarcerati per mancanza di indizi. Come è evidente, quella volta, gli elementi di accusa non erano così importanti e decisivi nella lotta alla ‘ndrangheta come qualcuno voleva far credere.
Cosenza /L'inchiesta per concussione
Ti assolvo nel nome del partito
Il Gip sarà cambiato. Il processo non si farà. Così Morrone (Udeur) rassicurò il ds Pacenza. In un colloquio in carcere. Intercettato dai pm.
di Riccardo Bocca
E' la mattina dello scorso 18 agosto, nella sala colloqui del carcere di Cosenza. Seduti uno di fronte all'altro ci sono Franco Pacenza, capogruppo ds al consiglio regionale della Calabria, e il deputato dell'Udeur Enrico Morrone. Il primo é stato arrestato con l'accusa "concussione mediante induzione", per imposto assunzioni a due aziende finanziate dall'Unione Europea e dalla Regione Calabria, in cambio di copertura politica. Il secondo è venuta a portargli la sua solidarietà. Insieme sono protagonisti, dentro quella stanza, di un dialogo che esula da qualunque consuetudine. E che viene registrato da una microspia dei magistrati. "Franco", si rivolge a Morrone a Pacenza parlandogli di Giuseppe Cozzolino, il pubblico ministero che ha chiesto il suo arresto:" Cozzolino é un ladro... Cozzolino é un bastardo..." "Cozzolino..", lo interrompe per un istante Pacenza. "Ha trentanni", prosegue Morrone, " é di Napoli...Sappiamo dove se la fa...".
Parole pesanti, pesantissime. E c'é di più. Convinto di non essere ascoltato, Morrone prosegue nelle rassicurazioni: "Tanto il gip sarà trasferito il 20 (agosto, ndr)...E' un gip distrettuale... Ti posso garantire", dice inoltre" che inoltre, " che tutti gli amici(..) Adamucci, Nicola ( Nicola Adamo, vicepresidente ds della regione Calabria, inquisito per un giro di finanziamenti comunitari, ndr), Rino, Spagnolo, sono (...) tranquilli. E comunque ne esci senz'altro. Io mi devo muovere, Fra'". " Chiamiamo a Serafini" (Alfredo, procuratore capo di Cosenza, ndr), propone Pacenza. E Morrone:" Ho chiamato, Serafini: perché tu non mi hai avvertito?".
Il quadro che emerge é sconcertante. Un parlamentare della Repubblica, compagno di partito del Guardasigilli, che durante una visita in carcere spiega al collega ds di stare tranquillo. Perché é certo che ne uscirà senz'altro. Perché in ogni caso, della questione é al corrente il procuratore capo. E poi comunque sanno dove se la fa, il pm " ladro e bastardo". L'altra faccia della giustizia; il sotterraneo rapporto tra politica e magistratura. L'ultimo atto di una storia in cui di normale c'é ben poco, e dove gli uomini in gioco sono di prima grandezza: nazionale. Dopo l'arresto di Pacenza, a sostenere la sua innocenza é il sottosegretario agli Interni Marco Minniti, il quale ha " la sensazione che si tratti di un errore giudiziario". Altrettanto perplessa é la deputata di Forza Italia Jole Santelli, ex segretario alla Giustizia, che ipotizza " modalità vessatorie" nell'arresto. E ancora oltre si spinge un gruppo di parlamentari, dai DS alla Margherita fino al Partito democratico meridionale di Agazio Loiero, i quali si piazzavano davanti al carcere di Cosenza e dichiararono: " Da qui non ci muoviamo, senza Franco non andremo via!".
L'unica voce contraria é quella delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, " stupito per la solidarietà espressa all'esponente della Quercia". Ma é a dir poco isolato. Gli amici di Pacenza invocano le dimissioni dell'ex pubblico ministero. La moglie di Pacenza racconta l'arresto del marito, la sua espressione " di meraviglia, di una persona che sta pensando non é possibile, forse é uno scherzo". E a tutti viene il dubbio: fosse una bufale? In attesa di risposte certe, ci sono quelle provvisorie. Ovvero la ricostruzione di una vicenda che inizia nel 1998, quando l'imprenditore Franco Angelo Rizzo, nato in Germania da famiglia di Corigliano (Cosenza), presenta due domande di contributo pubblico allo Sviluppo Italia Calabria. A trarne beneficio sono la Printec international srl e la Sintec srl, create per la produzione di sensori per stampanti, cartucce e altro, delle quali Rizzo é socio oltre che rappresentante legale. In totale, un gettone da circa 6 milioni e mezzo di euro suddiviso in tre rate, a fronte del quale é chiesto ai soci ( tedeschi e turchi, oltre a Rizzo) un dettaglio impegno: apportare capitali propri, spendere in attrezzature e capannoni, e garantire una determinata quota di produttività e occupazione.
Parametri che, a quanto pare, non vengono rispettati. O almeno così dicono alcuni dipendenti delle due aziende, i quali sporgono denuncia in Procura, spiegando che a fronte dei finanziamenti nulla stanno facendo. Da una verifica dei magistrati si scopre poi che i macchinari acquistati sono i ferri vecchi, fuori produzione da anni. E che le relazioni di collaudo sono state taroccate. Quanto basta per provocare, il 17 luglio 2006, l'arresto di Rizzo. E per inguaiare Franco Pacenza, 48 anni, sposato con due figli, brillante carriera da segretario locale della Cgil fino alla carica di capogruppo ds in Consiglio regionale. Proprio lui, racconta Rizzo, gli avrebbe assicurato nel 2000 un appoggio per le pratiche di finanziamento, in cambio dell'assunzione di "suoi" lavoratori. Non a caso, scoprono gli investigatori, nella sede dei ds di Corigliano si svolge una curiosa selezione di personale, dove i soci Printeg e Sensitec accolgono i candidati con la frase " Devi ringraziare Franco Pacenza per questa occasione di lavoro...". Sempre a Corigliano, nel 2002, ma Eurocal Form srl organizza con i soldi pubblici corsi di formazione ai quali partecipa chi é indicato da Pacenza, che in certi casi si presenta senza nemmeno i requisiti previsti dal bando. Diversi dipendenti, inoltre, confermano di essere stati assunti grazie alla segnalazione del capoggruppo diessino. E nei sequestri ordinati dalla magistratura, spuntano anche curricula con la scritta "Franco P.".
Cionostante, il centrosinistra protesta quando Pacenza viene arrestato a metà agosto. E gioisce quando il 29 dello stesso mese il Tribunale della libertà di Catanzaro lo scarcera per mancanza di gravi indizi. " Sono soddisfatto ", commenta in quell'occasione il viceministro dell'Interno Minniti. La più illustre tra le mille felicitazioni. Meno il sostituto procuratore Cozzolino, il quale presenta un ricorso di 37 pagine. Righe su righe che censurano aspramente l'operato del Tribunale della libertà. Ad esempio per non aver " considerato nella loro interezza le dichiarazioni di Rizzo (...), laddove questi rappresentava di aver subito una significativa pressione nel momento esecutivo dell'accordo". O per aver omesso " completamente di considerare le dichiarazioni rese da alcuni dipendenti della Sensitec e della Printec”, dalle quali emerge “la forza ingerenza del Pacenza nelle scelte aziendali concernenti la gestione del personale”. O ancora, per aver sostenuto che “le scritte Franco P.” non costituiscono “un elemento tale da collegare, in maniera univoca, i dipendenti ivi indicati al personaggio politico in questione”. Per non parlare della stoccata al Tribunale della Libertà per avere “audacemente” negato “la credibilità soggettiva” di Franco Alfonso Rizzo, “disconoscendo i principi più elementari tracciati dalla giurisprudenza di legittimità, e costantemente ribaditi da decenni, in tema di valutazione della chiamata in correità o in reità, senza preoccuparsi minimamente di spiegare quali motivi abbiano indotto a dubitare dell’attendibilità (…) del dichiarante, con riferimento (…) al suo carattere, alle sue condizioni socio economiche, alla sua vita anteatta, ad eventuali rapporti di astio e/o inimicizia con l’accusato, ovvero a un possibile interesse in capo al Rizzo – si badi, indagato reo confesso – ad accusare il Pacenza”. Chi ha ragione: il pubblico ministero Cozzolino oppure Pacenza e il Tribunale della Libertà?
Interessante, per inquadrare la situazione, è il contenuto di una telefonata che Pacenza riceve dopo il rilascio, e che i magistrati registrano. Uno scambio di battute dello scorso 4 settembre nel quale una signora non meglio precisata dice: “Considerato l’impianto, abbiamo capito che non parlavi di chissà che cosa, per fortuna…se nò avrebbero buttato le chiavi…”. Anche per questa ragione, grande importanza ha l’intercettazione ambientale del dialogo in carcere tra Franco Pacenza ed Ennio Morrone. Un nastro ancora pieno di misteri, vista la scoperta di una quarta, non identificata voce, oltre a quelle dei due politici e della guardia ufficialmente presenti. Ma già esplosivo per i contenuti noti a “l’Espresso”: dagli insulti al pm Cozzolino ai contatti tra il deputato dell’Udeur e il Procuratore Capo Serafini. In altre parole, la conferma che qualcosa non va, a Cosenza e in Calabria. Lo stesso segnale che viene da un’ispezione al Tribunale di Catanzaro, disposta dal Ministero della Giustizia, che tocca anche protagonisti del palazzo di giustizia cosentino. Un documento dove colpisce la fitta rete di legami e parentele. A partire proprio da Ennio Morrone, padre di quella Manuela che è giudice alla Procura di Cosenza. La quale è sposata con Stefano Dodaro, capo della squadra mobile nella stessa città. Il quale è vicino al pm Vincenzo Luberto (a cui, secondo gli ispettori, passa informative che non gli spetterebbero). Il quale, riferisce il pm Eugenio Facciolla, è “in stretti rapporti” (anche per essere stato alunno della madre) con Mario Spagnuolo, ex pm di Cosenza oggi capo coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Il quale è vicino all’avvocato Sergio Calabrese (cognato di sua moglie, dice Facciola). Il quale ha difeso in passato Ennio Morrone. E via di questo passo, in un corto circuito tra legali e giudici, poliziotti e politici, dove i ruoli si mischiano, la trasparenza svanisce e la giustizia arranca.
Benissimo fa Franco Pacenza, dice sottovoce, qualche magistrato calabrese, a proclamare la sua innocenza. Comprensibile è che, una volta libero, abbia brindato alla fine di un incubo. Ora però, aggiungono, “l’incubo deve finire anche per noi”.
Patrizia Serena Pasquin è presidente di sezione del Tribunale di Vibo
Fermate 16 persone, tra loro esponenti del clan che controlla la provincia
'Ndrangheta, blitz nel Vibonese in manette anche un magistrato
"Nelle intercettazioni si parla di cause da sistemare"
VIBO VALENTIA - Magistrati, un ex assessore, avvocati e anche un giudice. E alcune cause "da sistemare". Vanta nomi eccellenti il blitz che la Polizia ha effettuato nel Vibonese. Tra gli arrestati (16 persone) c'è anche un magistrato del tribunale di Vibo Valentia, Patrizia Serena Pasquin, presidente di sezione e due magistrati che collaboravano con lei. Nel complesso le persone indagate sono 33. "Sono state captate intercettazioni in cui con estrema disinvoltura gli interlocutori parlano di cause 'da sistemare'", dicono i pm.
Il giudice coinvolto. Le accuse alla Pasquin farebbero riferimento al periodo in cui presiedeva la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Vibo Valentia. L'inchiesta avrebbe come oggetto anche fatti riguardanti la realizzazione di alcuni insediamenti turistici nel Vibonese, e in particolare a Tropea e Parghelia. Alla Pasquin vengono contestati i reati di corruzione semplice, corruzione in atti giudiziari, falso, truffa e abuso. Reati che sarebbero stati commessi in favore di persone vicine alla cosca Mancuso che ha interessi in molte attività economiche e commerciali. Secondo i pm il giudice avrebbe compiuto "un sistematico mercimonio della funzione pubblica attuando in modo capillare il principio del 'do ut des'" e non avrebbe esitato "ad attivare tutti i possibili canali di informazione" per avere notizie utili sulle indagini corso, "mediante accessi abusivi al registro informatico della Procura di Vibo Valenzia". Ed ancora il giudice avrebbe prodotto documenti falsi per far ottenere finanziamenti illeciti ai boss.
Per sviare i sospetti il giudice avrebbe utilizzato utenze telefoniche intestate alla sua collaboratrice domestica. La Pasquin usava queste utenze telefoniche in particolare per le telefonate con Antonio Ventura, persona ritenuta vicina al clan Mancuso, noto come "Tappo". Dalle conversazioni intercettate si riscontra "l'esistenza di un consolidato, duraturo e permanente rapporto corruttivo, finalizzato a risolvere la procedura concorsuale da cui Ventura era gravato e numerose altre vicende giudiziarie".
Il nome di Patrizia Pasquin era già comparso in alcune intercettazioni dell'inchiesta Dinasty, condotta dalla Procura antimafia di Catanzaro contro la cosca Mancuso. In particolare, il giudice era stato citato come persona "contattabile" in un colloquio tra Diego Mancuso, capo della cosca, e il nipote Domenico in relazione ad un sequestro di beni eseguito contro appartenenti al gruppo criminale.
Gli altri arresti. Tra gli arrestati ci sono anche esponenti del clan Mancuso di Limbadi, la cosca che ha il "predominio incontrastato" della provincia di Vibo Valentia. In manette anche due avvocati ai quali vengono contestati la corruzione e la corruzione in atti giudiziari, reati commessi in concorso col giudice Pasquin. Insieme alla Pasquin sono stati portati in carcere altri tre arrestati: Settimia Castagna, di 49 anni, imprenditrice nel settore della floricoltura e turistico, Achille Sganga (44), geometra dell' ufficio tecnico del Comune di Parghelia ed Antonio Ventura (61), imprenditore commerciale indicato dagli investigatori come vicino alla cosca Mancuso.
Nei guai anche ex assessore della Regione Calabria, Ernesto Funaro, di 66 anni, accusato di truffa aggravata ai danni dello Stato e falso.
PANORAMICA
(da Nuova Cosenza – quotidiano on line)
sulla corruzione e l’illegalità “istituzionale” in Calabria
(solo dalle ultime settimane, pur se 22 Consiglierei Regionali -su 50- meritano maggiore attenzione…ci penseremo!)
Il capogruppo dei DL, Sculco, accusato di concussione. Chiesta la condanna
09/11 La condanna ad otto anni di reclusione è stata chiesta dal pm, Pier Paolo Bruni, per Enzo Sculco, attuale capogruppo della Margherita al Consiglio regionale della Calabria. Sculco è imputato nel processo che si sta celebrando davanti ai giudici del Tribunale di Crotone per presunti illeciti che sarebbero stati commessi quando era vice presidente della Giunta provinciale crotonese nell' amministrazione allora presieduta da Carmine Talarico, anche lui imputato nel procedimento. Per il pm, la cui requisitoria è durata sei ore, Sculco sarebbe responsabile dei reati di frode in pubbliche forniture, truffa, finanziamento illecito dei partiti, falso ideologico, estorsione, corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio. Il pm ha chiesto anche la condanna a due anni di reclusione per Talarico, in continuazione con la precedente condanna a 3 anni e 8 mesi inflittagli lo scorso 10 ottobre dallo stesso Tribunale. I reati contestati a Talarico sono quelli di concussione, minacce, frode in pubbliche forniture, truffa e falso. Per tutti gli altri 15 imputati nel processo il pubblico ministero ha chiesto la condanna a pene variabili da uno a tre anni di reclusione. La sentenza dovrebbe essere emessa il prossimo 30 novembre.
Tesi sotto inchiesta: Indagati i Sindaci di Cosenza e Rende e due consiglieri regionali. Coinvolti altri 17 amministratori.
31/10 Finanziamenti ed appalti nei settori dell'informatica e dell'ambiente: sono questi i filoni dell'inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Catanzaro che ha portato all'emissione di 21 informazioni di garanzia in cui vengono ipotizzati i reati di associazione per delinquere e truffa. L'inchiesta, di cui e' titolare il sostituto procuratore Luigi de Magistris, riguarda le attivita' della Tesi, societa' mista pubblica-privata operante nel settore informatico ed ambientale, la cui gestione ha visto coinvolti, trasversalmente, esponenti del centrosinistra e del centrodestra. Ad erogare i finanziamenti sulla gestione dei quali vengono ipotizzati illeciti, che sarebbero stati commessi tra le fine degli anni '90 ed il periodo attuale, sono stati l'Unione europea, lo Stato e la Regione Calabria, che figurano nell'inchiesta, dunque, come parti lese.
Tra gli indagati, tutti coinvolti nell'inchiesta per il ruolo che hanno svolto nelle attivita' della Tesi, ci sono due consiglieri regionali della Calabria, Antonio Acri, dei Ds, ex presidente della Provincia di Cosenza, e Mario Maiolo, della Margherita; i sindaci di Cosenza, Salvatore Perugini, della Margherita, e di Rende, Umberto Bernaudo; Mario Bozzo, ex consigliere comunale di Cosenza ed attuale presidente della Fondazione Carical; Michelangelo Spataro, capogruppo dell'Udeur nel Consiglio comunale di Cosenza; Michele Montagnese, presidente dell'Asi di Vibo Valentia, esponente del centrodestra, e Luciano Vigna, ex commissario della Federazione di Cosenza di Alleanza nazionale. L'inchiesta riguarda gli appalti ottenuti dalla Tesi nel settore informatico, per quanto riguarda la Regione Calabria, e dall'Ufficio del Commissario per l'emergenza ambientale. Milioni di euro sull'utilizzo dei quali il sostituto procuratore Luigi de Magistris vuole verderci chiaro, ipotizzando illeciti riguardanti l'effettiva utilizzazione delle somme per i fini cui erano destinate. A dare notizia dell'emissione delle informazioni di garanzia sono stati, con due distinte dichiarazioni, i sindaci Perugini e Bernaudo. L’inchiesta nasce dagli sviluppi di quella sull’ambiente denominata Poseidone e che, probabilmente, intreccia l’attività di Tesi che a questo punto è passata sotto il setaccio del PM che ha svolto le indagini.
Avviso di Garanzia a Perugini "Un avviso ingiusto"
31/10 Il sindaco di Cosenza, Salvatore Perugini, ha ricevuto oggi un avviso di garanzia. Lo ha reso noto lo stesso Perugini in un comunicato nel quale afferma che "dalla lettura dell'avviso, generico e senza precise contestazioni, reputo si tratti dell'indagine che il dott. De Magistris sta compiendo sulla società Tesi Spa". Sull'attività della Tesi, una società informatica, è in corso un'inchiesta della Procura della Repubblica di Catanzaro coordinata dal sostituto Luigi De Magistris. "In questa società, su designazione congiunta della Provincia di Cosenza, del Comune di Rende e del Comune di Cosenza che ne sono soci - ha aggiunto Perugini - ho ricoperto la carica di membro del Consiglio di sorveglianza dal mese di gennaio 2005 al giugno 2006, epoca in cui ho rassegnato le dimissioni per essere stato eletto Sindaco di Cosenza. In questo brevissimo periodo ho partecipato ai lavori di non tutti i Consigli di sorveglianza, che tra l'altro non ha compiti e funzioni dirette di gestione, bensì di controllo e indirizzo. Questa, e unicamente questa, è l'attività che ho svolto all'interno della società, in rappresentanza degli enti locali, finalizzata alla salvaguardia dei livelli occupazionali". "Da qualche mese - ha sostenuto Perugini - sono sindaco della città di Cosenza per un suffragio popolare democraticamente ricevuto ed ho improntato, insieme alla Giunta ed al Consiglio, l' azione amministrativa all' insegna del rapporto dialogante con i cittadini, della corretta informazione, della pratica quotidiana dei principi di legalità e trasparenza dell' attività dell' Ente locale". "Ecco perché - ha aggiunto - intendo far conoscere ai cosentini che oggi, assai inaspettatamente, ho ricevuto la notifica di una informazione di garanzia che mi vede oggetto di indagine giudiziaria".
"Sono assolutamente estraneo ai fatti oggetto dell'indagine". A sostenerlo è stato il sindaco di Cosenza, Salvatore Perugini, raggiunto oggi da un'informazione di garanzia nell'ambito dell'inchiesta coordinata dalla Procura della Repubblica di Catanzaro sulla società informatica Tesi. "S'impongono, allo stato - ha sostenuto Perugini in una dichiarazione - due valutazioni. La prima sul piano giudiziario: pur se profondamente colpito e amareggiato, perché convinto di avere bene e correttamente operato, e conoscendo il significato e la funzione dell' informazione di garanzia, ho provveduto a nominare l'avvocato di mia fiducia che chiederà immediatamente al giudice di sentirmi al fine di rappresentare le ragioni di ogni mia assoluta estraneità rispetto ai fatti oggetto dell' indagine e per consentire l' adozione di consequenziali e tempestivi provvedimenti". "La seconda - ha proseguito Perugini - sul piano politico-istituzionale: pur avvertendo gravissimo disagio e profonda amarezza, mi sento ulteriormente responsabilizzato ed impegnato a condurre azioni politico-amministrative nel rispetto delle istituzioni, delle leggi, nel perseguimento dell' interesse esclusivamente pubblico e collettivo. Ciò nella linea proposta agli elettori di Cosenza e da questi condivisa e votata. Mi tranquillizza la serenità della mia coscienza e la storia del mio impegno politico e personale, reputando ingiusta anche la semplice notifica di una informazione di garanzia".
Bernaudo “Attendo che la Magistratura faccia il suo lavoro”
31/10 "Pur non avendo ricevuto alcuna comunicazione riguardo la vicenda Tesi, potrei essere destinatario di un avviso di garanzia, in relazione alla mia partecipazione al Cda della società nell'anno 2001". A sostenerlo, in una dichiarazione, è stato il sindaco di Rende, Umberto Bernaudo. "Ovviamente - ha aggiunto - ripongo la mia più totale fiducia verso l'operato della magistratura, anche se la mia breve partecipazione al Cda di TESI si è caratterizzata, né poteva essere diversamente, per l'impegno profuso nella difesa degli interessi del Comune di Rende che rappresentavo e di quelli dei dipendenti con i quali mi sono sempre rapportato per avere il polso della situazione che, già all'epoca, era molto preoccupante". "Devo solo aggiungere - ha sostenuto Bernaudo - che ho rassegnato le mie dimissioni, dopo aver constatato l'impossibilità di concretizzare l'obiettivo di una stabilità finanziaria della società che consentisse di mantenere i livelli occupazionali raggiunti e salvaguardare le professionalità faticosamente riconquistate dopo il fallimento del Crai. Non credo che la brevità del periodo e l'azione svolta possa far pensare ad ipotesi di reato cosi gravi, ma attendo che la magistratura faccia il suo lavoro e mi consenta di chiarire il ruolo svolto"
Indagati due consiglieri regionali. 21 le persone coinvolte
31/10 Sono complessivamente 21 le informazioni di garanzia emesse dal sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro, Luigi de Magistris, nell'ambito dell'inchiesta sulla Tesi, società mista pubblico-privata che opera nel settore informatico ed ambientale. Tra gli indagati, tutti coinvolti nell'inchiesta per i ruoli che hanno svolto a vario titolo nelle attività della Tesi, ci sono anche due consiglieri regionali della Calabria, Antonio Acri, di 64 anni, dei Ds, ex presidente della provincia di Cosenza, e Mario Maiolo, di 43, della Margherita. Il sindaco di Cosenza, Salvatore Perugini, è indagato nella qualità di ex componente del Consiglio di sorveglianza della Tesi. Ha trovato conferma, inoltre, che nell'inchiesta è indagato anche il sindaco di Rende, Umberto Bernaudo, ex componente del Consiglio d'amministrazione della Tesi. Nei confronti delle 21 persone coinvolte nell'inchiesta vengono ipotizzati i reati di associazione per delinquere e truffa in merito alla concessione ed all'utilizzo da parte della Tesi di finanziamenti erogati dall'Unione europea, dallo Stato e dalla Regione Calabria che figurano nell'inchiesta, dunque, come parte lesa. L'indagine riguarda fatti compresi tra la fine degli anni '90 ed il periodo attuale. L'inchiesta ha come oggetto anche gli appalti ottenuti dalla Tesi nel settore informatico, per quanto riguarda la Regione Calabria, e dall'Ufficio del commissario per l'emergenza ambientale. Tra gli indagati anche Mario Bozzo, di 67 anni, ex consigliere comunale di Cosenza ed attuale presidente della Fondazione Carical; Michelangelo Spataro (47), capogruppo dell'Udeur nel Consiglio comunale di Cosenza; Michele Montagnese (61), presidente dell'Asi di Vibo Valentia, e Luciano Vigna (34), ex commissario della Federazione di Cosenza di An. Gli altri indagati sono Francesco Capocasale (51), Filomeno Pometti (71), Pasquale Citrigno (51), Renato Pastore (62), Antonio Gargano (67), Pietro Macrì (42), Lucio Sconza (61), Ennio Lucarelli (67), Giorgio Sganga (63), Mario Mirabelli (40), Mario Gimigliano (72), Mariano Gallucci (81), Nicola Costantino (41).
Cola (Ds): «Porterò la Regione in Procura»
Doveva essere il giorno della svolta, la Regione a segnare finalmente l'uno a zero atteso da tre anni sulla ex Stoppani, oggi Immobiliare Val Lerone. Invece l'azienda ha strappato un pareggio. La Conferenza dei Servizi fra ministero dell'Ambiente, enti locali, sindacati e azienda, ha deciso che il commissariamento scatterà, ma solo per la messa in sicurezza del sito. Nulla di fatto invece sulla bonifica. A Roma il governo ha chiesto alla Regione di sostituirsi alla società nella realizzazione di una barriera fisica per la falda necessaria per la messa in sicurezza.
A quel punto, i dirigenti liguri hanno chiesto la nomina di un commissario, condizione necessaria al finanziamento da parte dello Stato. «Quella barriera l'abbiamo già progettata, ma costruirla avrebbe un costo spropositato, se pure sostenuto in danno all'azienda» spiega l'assessore all'Ambiente Franco Zunino. Di fatto però, l'IvL ha guadagnato tempo utile a scongiurare il fallimento, l'udienza al Tribunale di Milano è fissata al 13 novembre. «Quello che è successo è gravissimo - tuona Luigi Cola, sua maggioranza -. Se non scatterà il commissariamento per tutto porterò le carte in Procura. C'è poi il rischio che il Comune di Cogoleto aderisca al concordato al 30 per cento proposto dall'azienda ai creditori. Se lo farà inviterò i cittadini a non pagare l'Ici né la tassa sulla spazzatura, e poi a pretendere un concordato». La messa in sicurezza dovrà essere attuata entro il 15 dicembre. A eseguire i lavori EcoGe, la società che con l'IvL ha siglato un precontratto di acquisto, sotto la tutela di un commissario, che dovrà far rispettare la tempistica dettata ieri dal ministero.
L’inchiesta
Traffico di rifiuti tra Italia e Cina dieci indagati
Container riempiti di plastica e carta che partono in nave da Genova verso l’Oriente con documenti falsi: il traffico di rifiuti si muove sull’asse Italia-Cina ed è un business da milioni di euro. Dopo dieci mesi di indagine, l’inchiesta coordinata dal pm Francesco Albini Cardona e condotta dai Carabinieri del NOE e dall’Agenzia delle Dogane è in dirittura d’arrivo: uno spedizioniere e dieci titolari di aziende specializzate in smaltimento sono indagati per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di rifiuti; cinquanta le aziende che si sono sbarazzate del materiale evitando di pagare le tariffe per lo smaltimento coinvolte in questo malaffare. Da gennaio sono sotto sequestro in porto a Voltri sessanta container che dovevano partire alla volta della Cina, un paese che con il boom economico ha necessità di materie prime. Tonnellate di rifiuti venivano raccolte in Liguria, Lombardia, Piemonte, Veneto, Olanda e dopo un giro tortuoso, arrivavano al VTE con delle semplici bolle di carico che li identificavano come materie prime, non da smaltire, ma da utilizzare nell’industria. Con questo meccanismo, per esportarli non era necessaria l’autorizzazione del Ministero dell’Ambiente e il Formulario d’Identificazione Rifiuti, che stabilisce che il carico, composto da rifiuti pericolosi, è stato smaltito seguendo iter lunghi e costosi. La paura è che i rifiuti, trattati in Oriente attraverso procedure che sfuggono ai controlli delle leggi comunitarie, possano tornare in Europa sotto forma di prodotti di ogni tipo con un alto grado di tossicità.
s.o.
L'AZIENDA
CHE HA
RESISTITO
ALLA
'NDRANGHETA,
DENUNCIANDO,
COSTRETTA
ALLA
CHIUSURA
PER LE
OMISSIONI
DEL COMUNE
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Tra sinistra,
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nel disastro doloso
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SIAMO DI NUOVO
OPERATIVI ONLINE
(IN ESILIO DIGITALE)
Dal 29 dicembre si è
lavorato sodo per
salvare i dati e portare il
sito in sicurezza all'estero.
Abbiamo cercato, già che
si doveva operare sul sito,
di rinnovarlo e migliorarlo.
Ci sono ancora alcune cose
da sistemare e lo faremo
nei prossimi giorni.
Ma intanto si riparte!
Andiamo avanti.
f.to i banditi
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"PEDOFILIA
E OMERTA'
Savona,
chi sapeva ed
ed taciuto su don
Nello Giraudo?"
con documenti
dell'inchiesta su
don Nello Giraudo
e documenti interni
della Chiesa
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