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La mappatura della Liguria
con le famiglie di 'Ndrangheta
e le radici di Cosa Nostra.
VAI ALLA MAPPATURA
Quella realtà di Diano Marina
che vorrebbe oscurare i fatti,
oscurando noi. Tutta la storia.
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Le cementificazioni hanno un
prezzo come la mancata messa
in sicurezza del territorio
VAI ALLO SPECIALE
La messa in sicurezza latita,
la bonifica è lontana e qualcuno
vuole anche riaprire la Discarica.
VAI ALLO SPECIALE
Come prima, più di prima. Quindici anni dopo il biennio magico di Mani Pulite, l’Italia delle mani sporche ha perfezionato i metodi per rendersi più invisibile e invulnerabile. Prima sotto accusa erano i politici e il mondo industriale. Ora le parti sembrano invertite: sotto accusa sono soprattutto i magistrati.
Ecco che cosa è successo negli ultimi anni, dal 2001 al 2007. Dal governo del cavalier Berlusconi e dell’ingegner Castelli a quello del professor Prodi e del ras di Ceppaloni, Mastella.
Prima le leggi ad personam, ora le leggi ad personas, a beneficio degli intoccabili.
La musica non cambia: è tutta colpa dei magistrati. Quei pochi che resistono, combattono da soli, spesso abbandonati dallo stesso Csm, vessati dalla stampa, criticati dalle altre istituzioni.
Le leggi vergogna varate da Berlusconi (Cirami, ex Cirielli, Castelli, falso in bilancio, Gasparri sulla tv, Frattini sul conflitto d’interessi, riforma-porcata elettorale) e che ci hanno resi ridicoli al cospetto internazionale (ricordate l’Economist?), dovevano essere subito smantellate dal centro sinistra. Invece sono ancora in vigore. A quelle se ne sono aggiunte altre come l’indulto per svuotare le carceri (di nuovo piene), le intercettazioni e il bavaglio alla stampa, l’ordinamento giudiziario Mastella: tutto in barba alle promesse elettorali dell’Unione. (“Il ministro Mastella copia le riforme della Cdl”, si compiace l’on. avv. Pecorella).
Prima era necessario corrompere, ora i soldi i partiti se li danno da soli, il controllato e il controllore sono sempre la stessa persona. E mentre Gherardo Colombo lascia la magistratura e Gian Carlo Caselli viene estromesso dalla Procura antimanfia, il giudice Carnevale, grazie a una legge apposita, ritorna in Cassazione a 76 anni (ci rimarrà fino a 83), Craxi viene pienamente riabilitato, anche a sinistra, e molti di coloro che sono stati riconosciuti colpevoli ora sono in Parlamento (alcuni in Commissione Antimafia). Forse per continuare a delinquere, sicuramente per difendere chi delinque.
Ma una parte della società civile e della magistratura non ci sta. E prova a resistere. Non lasciamoli soli.
Ex capitale morale, ex milano-da-bere, ex passerella d’Italia. Indagine sugli scandali, le paure e le speranze di una città inquinata, caotica, stanca. Che non si è ancora arresa.
Addio, capitale morale... Milano sta vivendo la fine di un primato, lo scadimento da centro a periferia, il progressivo rincantucciamento in un angolino provinciale.
Indro Montanelli, 1953
Milano, specchio d’Italia. Nella città che accolse milioni di famiglie dal Sud, i cortei guidati dal sindaco inalberano striscioni con la scritta “Zingari, foeura di ball!”. Nella patria antica del buongoverno, a capo delle scuole e dei servizi sociali vengono nominate persone già pubblicamente accusate di mala amministrazione. Nella metropoli che fu modello di pianificazione urbanistica, imprese edilizie legate ai partiti di destra e sinistra pagano i vigilanti del Comune incaricati di controllarle, mentre i cantieri si bloccano, i palazzi si spaccano e negli appalti fioriscono verbali truccati. Peggio che Tangentopoli. Intanto, da Milano si scappa, decine di migliaia di cittadini sono in cura per depressione e l’inquinamento supera tutte le soglie europee.
Milano, per fortuna, è molte altre cose: per esempio, la capitale italiana del volontariato. Una grande città, che soffre ma non muore. Questo libro raccoglie il suo grido. Perché se Milano si arrende, si arrende l’Italia.
Il capitolo integrale sulle Consulenze della Moratti.
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08.05.2007 - Corriere della Sera
Milano, affari e "miracoli"
Anche lo smog sparisce (ma solo sulla carta) Chiamata a guidare la Direzione centrale famiglia (per 217 mila euro l'anno) l'ex sindaco di un paese calabrese sconfitta alle elezioni
di Gian Antonio Stella
Ma Letizia Moratti li assumerebbe, nell'azienda di famiglia, certi collaboratori che invece assume e strapaga come sindaco di Milano? Ecco cosa ti chiedi, a leggere la storia di certi altissimi dirigenti comunali. Prima fra tutte, quello di Carmela Madaffari, responsabile della Direzione centrale Famiglia. Strappata per 217 mila euro l'anno mica a una multinazionale texana, alla Sorbona o a una banca della City, ma alla tristezza che l'aveva colta dopo essere stata buttata fuori da tre Asl e trombata alle elezioni. La storia, piccina ma straordinaria per capire l'andazzo delle amministrazioni pubbliche anche nelle realtà (apparentemente) più virtuose, è una delle tante raccontate in un libro che esce mercoledì 9 maggio. Si intitola «Milano da morire», è edito dalla Rizzoli ed è stato scritto da due milanesi veri, quelli che non sono nati per sbaglio sotto la Madonnina ma che a Milano sono venuti a vivere per scelta. Il sardo Luigi Offeddu, che i lettori del Corriere conoscono bene da anni, e il genovese Ferruccio Sansa, oggi inviato del Secolo XIX dopo essere stato redattore di Repubblica.
«Un grido di dolore e insieme di amore»: così i due autori, facendo ironicamente il verso «a certi film un po' sdolcinati», descrivono il loro lavoro. Un reportage di oltre 550 pagine che gronda di notizie, curiosità, aneddoti, motivi di orgoglio e di indignazione. Un reportage che si apre con le parole di Bonvesin da la Riva , il più importante scrittore lombardo del XIII secolo, che dopo aver cantato Milano «rispetto a tutte le altre città del mondo» come «la più splendida», maledice «gli scelleratissimi cittadini che nel loro potente livore cercano di distruggere tanta e tale città e imitano la condotta di Lucifero!». È lì, il senso del libro di Offeddu e Sansa: nell'amore per la città e nello spavento per certi segni di decadenza. Nell'ammirazione per la metropoli che sa distribuire buone carte a chi vuole giocarsele e nella radiografia spietata delle sue contraddizioni. A partire dall'abisso che separa il reddito medio dei cittadini di Niguarda (poco più di 20 mila euro l'anno) da quelli che stanno oltre i 55 mila e vivono nel centro storico più esclusivo, dove «se continua così, nel 2024 la popolazione sotto i trent'anni non supererà il 6,4%».
È una Milano sempre a due facce. Accogliente e ostile. Efficiente e sgangherata. Onesta e imbrogliona. Che racconta a se stessa e ai propri abitanti, ad esempio, di avere un'aria meno irrespirabile di quanto lo sia davvero. Ricordate la vecchia battuta di Marcello Marchesi? «Milano è l'unica città dove la mattina i passerotti tossiscono anziché cinguettare». Scherzava, lui. Non scherzavano, invece, tutti quelli che per anni hanno minimizzato sui rischi pur sapendo tutto: «Nel dicembre 2002, pochi giorni prima delle smentite, nella relazione conclusiva dell'indagine Pumi, che raccoglie tutti i dati milanesi sullo smog a partire dal 1998, si dichiara esplicitamente che per le misurazioni più recenti "è stato usato il metodo gravimetrico e non i metodi automatici come Teom (...) dato che questi ultimi tendono a sottostimare la concentrazione di particolato. La sottostima è maggiore nel periodo invernale" e "può essere in parte corretta moltiplicando per un coefficiente di 1,3 il valore medio della concentrazione di particolato. Tale sottostima è stata verificata secondo i due metodi: si nota che nel periodo luglio 2001gennaio 2002 a Milano secondo il Teom la soglia di allarme è stata superata 45 giorni su 183 (circa un giorno su 4), mentre secondo il metodo gravimetrico 85 volte su 183 (quasi un giorno su due)"». Un giorno su quattro contro un giorno su due, commentano Sansa e Offeddu: «una "sottostima" quasi del 100%».
E i parcheggi? Che dire del grande businness dei parcheggi? Il fiume impetuoso, «un Nilo di banconote», si dirama in un delta a più bracci. Uno finisce «a imprese della costellazione Legacoop». Un secondo a «Daniele Cucchi, figlio di un leader storico del Psdi milanese coinvolto nelle inchieste su Tangentopoli». Un terzo «alla Quadrio Curzio Spa, azienda che nei primi anni Novanta lavorava bene con gli appalti della metropolitana milanese». Il quarto, assai generoso, compreso il parcheggio da 586 box sotto la basilica di Sant'Ambrogio, alla ditta "Borio Mangiarotti", alla cui guida stanno Edoardo e Claudio De Albertis. E chi sono? Coincidenza: il papà e il fratello dell'assessore di An Carla De Albertis. E sempre lì si torna. All'incoerenza tra le affermazioni di principio sulla grande Milano in rotta sull'Europa e la navigazione sottocosta. Il mito dell'azienda e i traffici politici, bottegari, clientelari. Rivelati da quella storia di cui dicevamo all'inizio, della signora Carmela Madaffari, una gentile signora che viaggia verso la sessantina ed è stata chiamata nella metropoli lombarda, dove pare non avesse mai vissuto, per fare appunto la responsabile della Direzione centrale Famiglia.
Un ruolo chiave, di questi tempi, per la Casa delle Libertà. Non casualmente legato a quella busta paga annuale di oltre 400 milioni di lire. Dove l'avranno scelta, vi chiederete, una così? Quanti curriculum avrà letto, quanti cacciatori di teste avrà sguinzagliato, quanti colloqui avrà preteso Letizia Moratti, prima di puntare su di lei? Boh... Come documentano Offeddu e Sansa, carte ufficiali alla mano, il prestigioso «cursus honorem» della signora era il seguente. Sindaco di Santa Cristina d'Aspromonte, un borgo di 451 famiglie sui monti dietro Platì. Poi direttore generale (fino alla rimozione per i bilanci «addolciti» ma disastrosi) dell'Asl di Crotone. Quindi direttore generale (fino alla rimozione per i bilanci «addolciti» ma disastrosi) dell'Asl di Locri. Infine direttore generale (fino alla rimozione per i bilanci «addolciti» ma disastrosi) dell'Asl di Lamezia Terme. Un bel curriculum. Concluso con una trombatura alle elezioni, dov'era candidata per l'Udc. Non meritava forse un piccolo risarcimento?
LIRIO ABBATE e PETER GOMEZ
I COMPLICI
Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento
Il libro è un'inchiesta sulle complicità politiche di Cosa Nostra che parte da un assunto: in questi anni la politica ha totalmente demandato alla magistratura la selezione delle proprie classi dirigenti. Non è mai accaduto che un politico venisse autonomamente esplulso dal proprio partito perchè aveva frequentazioni, non occasionali, con i boss. E quando questo si è verificato è stato solo perchè erano scattate le manette (e a volte non sono bastate nemmeno quelle). Dopo la cattura di Provenzano la situazione è addirittura peggiorata. Rai e Mediaset ci hanno raccontato l'ex capo dei capi di Cosa Nostra basandosi solo sull'arresto di un vecchio senza denti, malato, ormai costretto a nascondersi in una masseria dove si producevano ricotte. Insomma con la complicità di tutti, media, istituzioni e politica, si fa finta di dimenticare che la mafia è mafia solo perchè ha rapporti con la politica. E se non ne ha è semplice gansterismo. (Peter Gomez)
dalla Prefazione del Libro, proponiamo uno stralcio:
....perchè è quella l'unica immagine del vecchio Padrino che è bene rimanga negli occhi degli italiani. L'immagine di una mafia antica, un po animale, che un tempo uccideva anche personaggi importanti evidentemente solo per il gusto di uccidere.
Di tutto il resto, dei rapporti politici trasversali di Provenzano, del cassiere del suo clan, pupillo del presidente della Regione (UDC) e di un ministro UDEUR del governo Prodi, dei capi-mafia di Corleone da sempre amministratori dei beni di un importante deputato azzurro, del loro collega di Enna, abituato a baciare sulle guance e discutere di affari con un onorevole DS, mai cacciato e anzi promosso, è meglio non parlare. Le sentenze poi vanno lasciate assolutamente perdere. Condannano in primo grado Marcello Dell'Utri per tentata estorsione insieme al boss di Trapani, Vincenzo Virga, e Bruno Vespa si dedica al delitto di Cogne e al pigiama della signora Franzoni. L'attuale senatore UDC ed ex ministro Calogero Mannino si vede appioppare cinque anni e quattro mesi in appello (verdetto poi annullato con rinvio) e a Porta a porta discute di calcio scommesse con Maurizio Mosca e Aldo Biscardi.
Non è un caso. Se uno sa certe cose poi magari si mette delle strane idee in testa. Magari comincia a riflettere: forse, pensa, sono tutti innocenti, forse non hanno commesso reati, forse non avevano capito chi avevano di fronte. Ma se non sanno nemmeno distinguere un mafioso da un attivista di partito, perchè bisogna permettere loro di amministrare la cosa pubblica?
Oggi le analisi della Confcommercio dicono che l'organizzazione capeggiata, fino all'11 aprile 2006, dal latitante corleonese raccoglie il pizzo dal 70 per cento delle attività commerciali in Sicilia (80 per cento a Palermo). L'Eurispes spiega che il fatturato complessivo delle tre mafie (Cosa Nostra, camorra e 'ndrangheta) nel 2006 ha toccato il 9,5 per cento del prodotto nazionale lordo. Il Censis, dopo aver consultato settecento imprese, aggiunge che senza lo 'zavorramento mafioso' annuo le regioni del Mezzogiorno sarebbero sviluppate come quelle del Nord.
Ma un dato narra meglio di ogni altra indagine quello che sta accadendo: nella più moderna clinica di tutta l'isola, la Santa Teresa di Bagheria, di proprietà di un presunto prestanome di Provenzano, la Regione Sicilia versava per ogni ciclo completo di terapia antitumorale alla prostata 136.000 euro. Ora, dopo il sequestro da parte della magistratura, lo stesso ciclo costa 8.093 euro. E allora diventa chiaro che Cosa Nostra non conviene, che gli amministratori pubblici, collusi o distratti,e vanno emarginati non per moralismo, ma per un semplice calcolo economico. I soldi che gestiscono sono nostri....
04.04.2007 - Il Secolo XIX - L’Incontro
La vera storia del boss Provenzano. Quando politica fa rima con mafia
di Ferruccio Sansa
Le inquietanti connessioni tra Cosa Nostra e potere politico nel libro inchiesta di Abbate e Gomez presentato oggi a Genova.
Il ragazzo che falsificò la carta d’identità usata da Bernardo Provenzano per andarsi a operare alla prostata in Francia? Si chiamava Francesco Campanella, nella banca in cui lavorava, sostengono gli investigatori, riciclava i soldi delle cosche, ma faceva pure politica. Era il segretario nazionale dei giovani dell’Udeur. L’aveva nominato nel 2000 l’attuale ministro della Giustizia, Clemente Mastella. E non importa che solo un anno prima il municipio dove Campanella era presidente del consiglio comunale fosse stato sciolto per mafia. Non basta: chi era il boss che accompagnò l’ultimo Padrino nel suo viaggio in Costa Azzurra? Si chiamava Nicola Mandalà, suo padre Nino, un attivista di Forza Italia oggi ritenuto dagli inquirenti il capomafia di Villabate, negli anni ’80 era stato socio dell’ex ministro degli Affari Regionali, Enrico La Loggia e di Renato Schifani. Il braccio destro di Mandalà? Era Ignazio Fontana. Veniva da una famiglia di sinistra.
Eccola qui l’altra faccia di Cosa Nostra e di Provenzano, quella che le tv non vogliono raccontare. Eccola qui, ricostruita con un ritmo da romanzo nell’ultimo libro dei giornalisti Lirio Abbate e Peter Gomez (“I Complici, Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento”, Fazi Editore) che verrà presentato oggi a Genova alle 18 alla Fnac di via XX Settembre su iniziativa della Casa della Legalità. Oltre trecento pagine di cronaca amara su quindici anni di infiltrazione della mafia nel mondo politico e finanziario che Abbate (giornalista dell’Ansa) e Gomez (inviato dell’Espresso) narrano con precisione, raccogliendo testimonianze inedite, documenti giudiziari, sconvolgenti intercettazioni ambientali di colloqui tra uomini d’onore. Un libro che è anche un atto di accusa ai media e alle classi dirigenti. Per i due autori, infatti, la cattura del boss dei boss “è stata la sua definitiva vittoria”. Le immagini del suo ultimo covo, un casolare dove si producevano ricotte, il sequestro di centinaia di pizzini in cui si discuteva solo di piccoli lavori pubblici di carattere locale, come già i serial televisivi in cui non si parla mai di rapporti mafia-politica, hanno contribuito a cancellare le questione Cosa Nostra dall’agenda politica italiana. “Per la gioia del sistema dei partiti”, scrivono nell’introduzione Gomez e Abbate, “che dopo il sangue di Falcone e Borsellino ha totalmente rinunciato a selezionare le proprie classi dirigenti anche in base al rischio mafia: da allora non è mai accaduto che un politico venisse espulso dal suo movimento perché ritenuto in rapporti con Cosa Nostra. Il principio di elementare prudenza che porta, nelle democrazie mature, ad escludere ed emarginare chi ha amicizie discutibili, che tiene comportamenti non trasparenti, in Italia non scatta mai. Eppure rappresentare gli elettori non è un semplice diritto: è un onore, ma anche un onere. Il garantismo deve valere nelle aule di Tribunale, in politica, invece, deve prevalere il buon senso. Tra chi è specchiato e chi ha addosso una macchia è candido solo il primo, non il secondo”. Secondo i due autore un dato “narra meglio di ogni altra indagine” quello che la mafia è oggi: “nella più moderna clinica di tutta l’isola, la Santa Teresa di Bagheria, di proprietà di un presunto prestanome di Provenzano, la regione Sicilia versava per ogni ciclo completo di terapia antitumorale alla prostata 136.000 euro. Ora, dopo il sequestro da parte della Magistratura, lo stesso ciclo costa 8.093 euro. E allora”, concludono Gomez Abbate, “diventa chiaro che Cosa Nostra non conviene, che gli amministratori pubblici, collusi o distratti vanno emarginati non per moralismo, ma per un semplice calcolo economico: i soldi che gestiscono sono nostri”.
Fatti. Atti giudiziari. Indagini compiute in prima persona dai due autori. Trecento pagine che informano minuziosamente riuscendo anche a essere avvincenti. Una prova che in Italia il giornalismo d’inchiesta non è finito, che i reporter coraggiosi ci sono, anche se trovano sempre meno spazio sui giornali e nei programmi televisivi. Se i lettori – distratti, disillusi o amareggiati – prestano forse poca attenzione ad un lavoro compiuto perfino a rischio della vita.
Certo, leggere un libro come questo provoca anche dolore. E molte domande: perché la nostra classe politica (di centrodestra come di centrosinistra) continua ad ignorare la questione morale, fingendo di non accorgersi che tanti mali – perfino i problemi di bilancio e la scarsa competitività economica internazionale – derivano proprio dalla corruzione?
Perché l’Italia e gli italiani non cambiano mai?
Elio Veltri e Francesco Paola
Il Governo dei Conflitti
Un manifesto per la soluzione dei conflitti d'interesse nelle istituzioni, nell'economia, nella società
I conflitti di interesse, come un virus a lenta incubazione, attentano alle difese immunitarie proprie della democrazia, generano apatia, sfiducia e mettono a rischio tutte le nostre libertà essenziali. E forse non è un caso che proprio l’Italia, «caso clinico» dei conflitti di interesse, sia in fondo alle classifiche della competitività. Ecco perché la loro risoluzione rappresenta una vera emergenza etica.
È davvero irreale sperare di suscitare indignazione e ribellione rispetto alla situazione in cui ci troviamo? A mancare è la volontà di affrontare un tema così complesso come la governance dei conflitti o piuttosto una diffusa «cultura della vergogna»? L’assenza di leggi e sanzioni e la difficoltà di individuare istituzioni che le facciano rispettare accentuano l’impossibilità di esercitare una prevenzione efficace. Un’analisi innovativa, questa di Francesco Paola ed Elio Veltri, dei guasti irreversibili che i conflitti di interesse hanno prodotto in campi nevralgici come la sanità, l’economia, la finanza, l’informazione, i partiti politici, il calcio. Un contributo concreto che si chiude con una proposta originale che – se ascoltata – potrebbe contribuire a rivoluzionare l’attuale, asfittico panorama.
Casa editrice Longanesi
Gianni Barbacetto
Compagni che sbagliano
La sinistra al governo e altre storie della nuova Italia
«Ci dicevano: ma come farete senza di lui, voi demonizzatori, voi che su di lui avete costruito una carriera? Adesso che non è più al governo, cosa farete?»
Dopo una campagna elettorale esitante e una delle notti più lunghe della storia repubblicana che ha smentito ogni previsione di trionfo, il centrosinistra prende il timone del Paese. Chi si aspettava una svolta rimane deluso. Le misure adottate da Romano Prodi sono troppo deboli oppure fatte ad hoc per non disturbare le lobby e lasciare le cose come stanno: l'indulto liberatutti; i compromessi per affrontare (senza risolvere) il conflitto d'interessi e il duopolio televisivo; l'assenza di interventi decisivi contro la grande emergenza nazionale, la mafia; lo scontro sul segreto di Stato con i magistrati che hanno messo sotto indagine gli uomini del Sismi. Il passato in Italia non insegna. I rapporti sempre più stretti tra cosa pubblica e interessi
privati hanno cancellato l'identità dei partiti e sancito la logica del trasformismo.
Gianni Barbacetto racconta gli «eroi» di questa nuova epoca. Storie di furbetti rossi e neri. Storie di una transizione senza fine e della morte politica di un Paese in cui anche la sinistra, che un tempo si diceva «diversa», si è del tutto integrata nel sistema dominante.
Casa editrice il Saggiatore
Luigi Ciotti
Etica e politica
La società contemporanea attraverso due parole chiave. Luigi Ciotti firma un'appassionata riflessione sulla crisi della giustizia e della legalità che sta interessando il nostro Paese.
Paulo Freire
La pedagogia degli oppressi
Sono passati trent'anni dalla prima edizione italiana della Pedagogia degli oppressi.
"Ad alcuni piacerebbe lasciarlo riposto nei manuali di storia delle idee pedagogiche - sottolinea nella prefazione Moacir Gadotti - e ad altri piacerebbe dimenticarlo, a causa delle sue scelte politiche. Egli non voleva piacere a tutti. Ma esisteva un convincimento unanime tra tutti i suoi lettori e tra tutti quelli che lo conoscevano da vicino: il rispetto per la persona."
Ed è proprio qui il senso di continuare a leggere, ancora oggi, l'opera di Paulo Freire. Nei suoi studi, Freire ha insistito sui modi e sulle forme dell'apprendere e dell'insegnare, sulle metodologie della didattica e della ricerca, sulle relazioni personali e sull'importanza del dialogo.
La sua pedagogia, quindi, continua a essere valida non solo perché nel mondo esistono diverse forme di oppressione, ma soprattutto perché risponde alle necessità fondamentali dell'educazione contemporanea. Freire ci ricorda la posizione emancipatrice della scienza, della cultura, dell'educazione e della comunicazione. Ci ricorda che l'educazione è prima di tutto "uno strumento di liberazione".
Anche oggi.
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Abbiamo cercato, già che
si doveva operare sul sito,
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Ci sono ancora alcune cose
da sistemare e lo faremo
nei prossimi giorni.
Ma intanto si riparte!
Andiamo avanti.
f.to i banditi
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