«Gli incarichi di consulenza a mia moglie? I
dipartimenti dell'Ateneo sono indipendenti anche dal preside». Giacomo
Deferrari, preside di medicina e candidato rettore, respinge le accuse...
Nella corsa all'elezione del rettore esplode
il caso Giacomo Deferrari. E le consulenze pagate, quand'era direttore del Dimi
prima, preside di Medicina poi, alla società di comunicazione Chiappe-Revello
della moglie Rossana Revello. Un nuovo tassello della "famigliopoli" che sta
investendo il mondo delle Università italiane? Molti Atenei stanno
predisponendo in fretta e furia codici etici per evitare che i casi più
clamorosi si ripetano. Nelle Facoltà italiane lavorano mogli, figli e nipoti di
24 Rettori. Per prima si è mossa Bari, nel mirino della magistratura per i test
truccati. E dove lavorano la moglie, il genero e tre figli dell'ex numero uno
Giovanni Girone.
E, come spiega al Corriere
della Sera Fulvio Esposito, a capo dell'Università di Camerino, «stiamo
lavorando a un codice etico che vieti a docenti imparentati di lavorare nello
stesso settore». Esposito, qualche tempo fa, aveva dichiarato: «Se mia figlia
si iscrive a questa Università, io mi dimetto il giorno stesso».
Ora a Genova esplode il caso raccontato ieri
dal Secolo XIX. E subito Giacomo Deferrari
interviene: «Questa polemica è montata da chi non sa, o fa finta di non sapere,
come funziona l'Università. I dipartimenti non hanno alcun collegamento con il
preside, sono assolutamente autonomi nella loro gestione amministrativa».
Conclusione? «Se un dipartimento dell‘area medica dà un incarico alla società
di mia moglie, è più facile che lo sappia da lei, a cena, sempre che voglia
dirmelo, che dal responsabile del dipartimento stesso. Nessuno me lo chiede,
nessuno me lo dice».
Ma non ritiene che questa circostanza sia
comunque poco opportuna? «Forse sì, ma è al di fuori dal controllo del preside,
prescinde addirittura dalla possibilità di oppormi, se lo volessi. I
dipartimenti sono completamente indipendenti. Sarà giusto, sarà sbagliato, ma è
così. Anzi: io per primo nel mio programma propongo di cambiare tutto lo
statuto». In altre Università sono stati varati codici etici... «Ma qui non ci
sono. Qui non c'è alcun codice etico. Se ci fosse stato un codice etico che
suggerisse, perché vietarlo è impossibile, di evitare che parenti di direttori
di dipartimento o di presidi avessero ruoli in altri dipartimenti, io l'avrei
ovviamente seguito. Ma allora bisognerebbe ci fosse un sistema di conoscenza
reciproca. Io oggi non posso intervenire in alcun modo».
Ritirerà la sua candidatura: «Ovviamente non
lo farò. Non ne riesco proprio a capire il motivo». Ma lei non pensa che una
consulenza a sua moglie potrebbe essere interpretata come una "lusinga" nei
suoi confronti, anche al di là dell'effettiva volontà? «Se il dipartimento
fosse collegato alla presidenza sì. Ma non è così». Ma anche nella più
specchiata delle situazioni, si potrebbe pensare che una consulenza a sua
moglie potrebbe essere una blandizia nei confronti del collega "potente" che un
giorno potrebbe sempre venire utile?
«Io penso di no. Io penso che una cosa
meritoria che il Secolo XIX potrebbe
cavalcare sia che i candidati rettori proponessero un codice etico che
impedisse a parenti anche abbastanza lontani di avere dei ruoli "pagati"
nell'ambito dell'Ateneo». Lei lo propone come obiettivo: «Sono d'accordo,
assolutamente d'accordo». Come lei immagina, non ci sono solo gli aspetti
penali a regolare le circostanze della vita pubblica... «E io sono
perfettamente d'accordo. Chi mi conosce sa che ho addirittura fama di "duro",
per la trasparenza, per l'attribuzione di risorse assolutamente sulla base del
merito, per la valutazione del prodotto e sono criticato per questo. È quasi
ridicolo che ci siano accuse di questo genere a me, che sono proprio
sostenitore della linea opposta». Allora la proposta del codice etico... «Io
non dico che quel che il Secolo XIX afferma
sia sbagliato, è un'opinione ed è bene che si discuta di questo, sarebbe bello
che si spingessero i candidati alla carica di rettore a presentare il proprio
codice etico prima di tutto, impegnandosi a rispettarlo rigorosamente».
Anche Rossana Revello, moglie di Deferrari,
amministratore delegato della Chiappe Revello, interviene nella vicenda.
«Alcuni chiarimenti sono d'obbligo. Il primo: quando ho ricevuto il primo
incarico dal Dimi, non conoscevo il mio futuro marito. I contratti successivi
sono stati rinnovati da altri direttori: Francesco Indiveri prima, Franco
Patrone poi. Secondo: tengo moltissimo a difendere la buona qualità del mio
lavoro». Centinaia di pagine, decine di brochure, organizzazione di convegni. «I
compensi non rappresentano certo guadagni netti, il nostro margine c'era, ma la
maggior parte è ovviamente rappresentato dalle spese». Poi, un chiarimento: le
cifre più alte, quelle che fanno lievitare il conto del Secolo XIX, sono rappresentate dal progetti "Linee
Guida", un progetto della Regione. I fondi erano pagati al Dimi, ma in questo
caso il dipartimento faceva solo da "cassa", da giro, in realtà l'iniziativa
era della Regione stessa. Non è denaro che il dipartimento ha pagato a Chiappe
Revello».
Altra partita: «Gli altri pagamenti più
sostanziosi, i circa cento milioni di lire del 2000, riguardano il servizio di
consulenza e di collaborazione per l'Università nel suo complesso, dopo una
regolare gara che abbiamo vinto». Restano, però, le circostanze più
"imbarazzanti". I pagamenti del Dimi nel 1999, quando lei e suo marito eravate
già fidanzati, e quelle dal 2003 al 2005, quand'era preside di Medicina: «Che
ci sia una questione di opportunità è un'opinione e come tale la considero,
senza far polemica. Ma non è così: il primo contratto, come detto, risale al
periodo in cui non ci conoscevamo neppure. E quelli dal 2003 in poi sono stati
rinnovati da direttori diversi, in un ambito, quello dei dipartimenti, che non
ha contatto amministrativo con il preside della Facoltà».
Marco Menduni