E’ usuale in occasione delle festività di fine anno scrivere di bilanci (positivi, sic) e auguri. La tradizione di queste festività come il Natale sono occasioni in cui, ci dicono, bisogna (quale undicesimo comandamento, forse) non disturbare la spensieratezza, serenità e voglia di divertimento e allegria delle famiglie, dei grandi e dei piccini...
Rituale natalizio che ci parla (ci mostra) di pranzi, usi e consumi della nuova stagione (indispensabili, ma già vecchi domani), di regali e immancabili “sogni” che ci possiamo soddisfare… Tutti più buoni, felici e “sfamati” dal consumo, materiale e non che troviamo tra strade illuminate a giorno, colorate, presepi ed alberi (tradizionali o “diversi”) dietro vetrine e sorrisi, tra carte, nastri e sacchetti, raffinati o colorati, magari griffati pure quelli (si sa una firma è sempre una firma).
Scusate ma noi non ci stiamo.
Non solo perché il significato del Natale, con occhi e rispetto di laici, è tutt’altro. La natività di Cristo, il suo messaggio ed insegnamento (rivoluzionario), il suo esempio concreto, radicato nell’uguaglianza, nella giustizia e nell’amore, che centra con tutto questo?
Non riusciamo proprio a trovare il nesso, come non riusciamo a comprendere come possa ritrovarsi quel camminare in quel solco di umanità straordinaria di Cristo, in una, due o tre date all’anno, così, a scadenza.
Viviamo in un mondo dove tutto è relativo, ove l’emergere e l’apparire sono divenuti i tratti caratterizzanti dell’essere, definiti e manipolati da un mercato che ormai è tutto, anche nel personale più intimo. Un mondo di maschere di frasi fatte, di richiami a parole che però sono stravolte nel significato, senza più legame con l’origine. Un mondo dove le coscienze sono cadute, nella grande parte degli individui dell’Occidente, nel vortice di tubi catodici, onde radio, carte stampate e patinate, tutti acquiescenti servitori degli unici padroni riconosciuti: denaro e potere.
Dobbiamo quindi stare al gioco, è la vita, se si vuole “essere parte del mondo”. Questo è il messaggio, l’insegnamento, l’unico input che arriva a ciascuno. Pensare, per quanto ci riguarda, che ciò sia libertà non è possibile. Ma crederlo, per quella grande maggioranza è , follemente, dato per scontato. E così si sta al gioco, si tutela il proprio meschino orticello, dimenticando, ignorando il resto, anche quello che si ha vicino, anche gli affetti che – in questo gioco – hanno perso valore, significato, soprattutto quando necessitano attenzione, magari coraggio di sincerità, forza di scelta di parte o anche solo ascolto e dialogo, sacrificio.
Non solo quindi ignoriamo il Potere che abbiamo, nelle nostre sicure case di Occidente, di sfamare, di curare, di dissetare e di concedere la vita (poi ci si sciacqua la bocca e si da fiato, qui a casa nostra, della difesa imprescindibile della vita), a quei nostri fratelli nati qualche parallelo più in giù, in Africa, terra madre, di tutti e di ciascuno.
Con le riserve mediche dei nostri magazzini, destinate allo smaltimento (costoso) potremmo salvare popoli interi. Ma non lo si fa, non lo pensiamo nemmeno più, perché è “follia” che ci porrebbe fuori da quella “cultura “ che è il mercato, dove anche la vita umana ha un prezzo, che va pagato a qualcuno.
Continuiamo ad ignorare, come se fossero solo fatti lontani, quei poveri che ogni giorno potremmo aiutare, con meno spreco (non diciamo rinuncia). Ignoriamo il dolore di chi magari abbiamo accanto perché disturba o potrebbe farci pensare, cioè potrebbe farci sentire quello che siamo, uomo o donna, vivi, con limiti e speranze con bisogni, esseri mortali. Ignoriamo le ingiustizie che ci circondano, le abbiamo accettate come “regola” e ci muoviamo di conseguenza, adattandoci anche a questo e magari pronti a commetterne direttamente per vantaggio.
Ci dimentichiamo, banalizziamo esorcizziamo il dramma della terra di Cristo, nei giorni di Cristo, dove ancora se sei palestinese non hai Diritto, e puoi sperare solo in qualche gentile concessione… Se con una pietra provi ad abbattere il muro tra i tuoi campi ed i mercati, dove poter vendere il frutto del tuo lavoro, e comprare il fabbisogno per i tuoi figli, ti ammazzano, con armi potenti ed evolute, come se la tua vita avesse un valore diverso, da qualunque altra vita.
Abbiamo rovesciato ogni logica, ogni sentimento, chiamiamo (e giustifichiamo) le guerre come “azioni umanitarie”, menzogna ad uso comune, giustificata e retta a verità, se di comodo, dal Potere. Ecco gli esempi, ecco ciò che oggi è il mondo.
Ragazze e ragazzi che fanno sesso, a coppie o in gruppo, riprendono e si mostrano, è divenuto normale nella società che ha mercificato il corpo delle donne (e degli uomini), che ha abbattuto ogni legame tra sesso e amore, ma anche tra sesso e piacere… oggi è solo l’apparire, il trasgredire, cercando anche qui performance da copione, da profitto… dietro maschere di moralismo che non aiutano a capire, conoscere e affrontare il mutamento.
L’uguaglianza tra uomo e donna, ridotta a quote, ad andare a vedere gli strip maschili nell’anniversario della tragedia del 8 marzo, … abbandonare la particolare e più umana sensibilità femminile a favore del peggior volgarismo di vita maschile.
Tutto questo è ciò che ci circonda, che è il “mondo nuovo”, dove chi ha (ed appare) e chi non ha molto (ma sa apparire), possono dominare su chi non ha e non vuole apparire, ma ha sentimenti, valori autentici e profondi.
Quanti, ad esempio sanno ciò che può essere importante per un proprio caro (amico o parente non è importante) ma scelgono di tacere, per comodità o interesse? Troppi e sono infami.
Quanti, ad esempio, echeggiano alla solidarietà verso gli altri, ma non siederebbero mai, o non inviterebbero nella propria casa, un bisognoso, magari un bambino straniero o un ragazzo nomade, per farlo mangiare, lavarsi o semplicemente giocare? Pochi.
Quanti, ad esempio, si fermerebbero a parlare con una prostituta, lungo i viali delle periferie per farle sentire che la si considera una persona e non una merce? Pochi.
Quanti dicono, di avere valori, di considerare gli altri al proprio pari ed alla prima occasione si smentiscono? Troppi e sono infami.
Essere indifferenti a tutto questo è essere “normalità” ormai. Ma è negazione di ogni principio e sentimento di fratellanza, di solidarietà, di semplice rispetto, è la morte della “comunità”.
Certo si possono riempire le chiese,i templi di ogni religione, con i propri corpi e i propri mea culpa, ma è l’inganno, ennesimo, verso gli altri, e bestemmia verso chi lì, inchiodato nel legno, ci disse altro, ci indicò una strada diversa, certo più dura, per nulla opportunistica o di comodo (non solo per i fedeli, ma per tutti). Ma si sa le idee, che sono rimaste nel nostro tempo, sono opinioni, piccole, ognuno le modella a seconda del suo punto di vista a giustificazione di se del proprio agire ed essere, o a condanna di chi non rientra nei suoi personali schemi. Il senso di comunità è, anch’esso quindi, ormai, relativo e vissuto solo in modo funzionale a se stesso. Certo esistono eccezioni ma talune, rare, appunto da essere derise persino. Anche l’occasione del ritrovarsi delle famiglie attorno alla stessa tavola è ormai, sempre più questione di costume, un rito che è bene ripetere a scanso, sembra proprio, di possibile malasorte, e null’altro. Si ritrovano, ad esempio, famiglie con odi e rancori mai sopiti, divergenze di scelte o incompatibilità caratteriali, egoismi su eredità che si spera solo proprie, visibili a chiunque a quel tavolo, anche se mascherati da sorrisi o battute (o silenzi) da fiction di pessimo ordine. Quale, educativo esempio per i più piccoli, nel nome dei quali, si dice, si è accettato o proposto l’invito? Pessimo, in linea con quello generale: ipocrisia, falsità, opportunismo (per quiete o per interesse) come normale comportamento, anche nella propria intimità familiare.
Ma d'altronde la famiglia a cui tutti promettono sostegno e difesa cosa è divenuta progressivamente? Un caos. Chi si ama e vorrebbe costruirla, non può, perché nel precariato non ha speranza e certezza di sopravvivenza, i diritti sono ormai dati, gestiti, come privilegio elargito a pochi, che sono poi gli amici di qualcuno. (quanti sono infatti quei morti mandati in guerra, nell’occupazione militare di altri Paesi, hanno scelto quel rischio, hanno accettato di impugnare quell’arma con cui, e per cui sono caduti, proprio per permettersi un mutuo, necessario per avere un tetto per la propria compagna, e per sperare nei figli)
Chi si è unito nel sacro o civile vincolo del matrimonio, sempre più spesso, lo tradisce, rompendolo, con maggior frequenza o lasciandolo “intatto”, come contratto e apparenza, ma nel sentimento e nella pratica lo ignorano e calpestano.
D'altronde siamo il Paese con un esplosione di video amatoriali hard che si vendono nei sexy shop (che nascono come funghi) e come nelle edicole. Dove vi è un “esplodere” di club per scambi di coppie e pratiche diverse? Nessun moralista giudizio su ciò, ognuno è libero di gestire i rapporti, il sesso, come più gli aggrada, ma allora non si mascheri tutto ciò dietro buone novelle di “famiglia felice”. Si abbia almeno il rispetto l’onestà, verso se stessi oltrechè verso gli altri, ci si assuma le responsabilità delle proprie scelte, dei propri gusti dei propri gesti.
Non ci si mascheri dietro fedi o comportamenti apparenti rigorosi, quando si considera l’altro sesso un puro strumento di piacere, a pagamento, privando l’altro/a di ogni dignità di essere umano. Basta guardare alle risposte che si tenta di dare alla piaga delle schiave del sesso (molte, e sempre più spesso minori), ipocrite, e volte a nascondere scelte che non si ha il coraggio di dire. Aiutare ad uscire da un sistema di sfruttamento, che trasforma un corpo in un oggetto, arrivando a negargli la vita, come la salute o un futuro figlio, significa avere il coraggio di accettare che per scelta qualcuno scelga di vendersi, ma significa, anche non negare, a chi si è magari scelto di sposare, certi “vizi”, certe libertà, che non sono altro, ancora una volta, che mancanza di rispetto per chi si ha accanto.
Potremmo andare avanti ore ed ore, ma poi ognuno in fondo a se, sa di tutto questo.
Potremmo parlare di chi vive la vita come un organaizer, asettica secondo le priorità. Ma come è possibile farlo se non estraniandosi da tutto e tutti coloro che ci sono accanto? Come è possibile allontanarsi, con la mente e con il cuore, ad esempio dai propri affetti più cari, qualunque distanza ci separi da loro? Come sarebbe possibile se non annullando, affogando o imbrigliando, quei valori e principi, quei sentimenti e pensieri, che si hanno dentro e che, non per scelta, ma per come si è, donano inquietudine e indignazione (quanto serenità e gioia)? Tutto questo è ciò che ti fa tendere la mano, d’istinto, senza neppure pensarci per un frammento del più breve istante, a chi ha bisogno. E’ la stessa molla che scatta, a farti urlare e praticare la rabbia per il disgusto, facendoti rispondere nel concreto, delle tue possibilità, per dare “parziale sanatoria” all’ingiustizia che si pone davanti allo sguardo. Come è possibile essere asettici? Come è possibile estraniarsi e restare uomini? Non lo comprendiamo. O forse non lo capiamo o concepiamo perché non riusciamo proprio a rifiutarci di ascoltare e osservare ciò che percepiamo e vediamo. E’ qui, nel dono dell’inquietudine, nella automatica indignazione, nell’istinto di sopravvivenza non solo per se, bensì per chi si ama e si considera fratello o sorella, che si definisce la distinzione tra essere civile ed essere infame.
Riuscire a vivere, quindi, ad esempio, in sintonia con se stessi, significa recuperare coerenza con quell’istinto che si è perduto. Per questo non possiamo accettare le ipocrisie e la menzogna, per questo non ci sentiamo di condividere quel rito moderno, in cui l’uomo, asservito a quel Mercato d’Occidente, ha trasformato il Natale, dimenticando quando Cristo entrò nel Tempio e cacciò i mercanti. Un abbraccio fraterno, o una stretta di mano, un saluto, non un augurio, o se è tale, come sarebbe in ogni giorno. Non a qualcuno perché è dovere, ma a tutti quanti stanno nel proprio cuore, nel pensiero. Per questo odiamo gli indifferenti, perché hanno dimenticato, non hanno visto, non vogliono vedere, tacciono o accettano di tacere, e preferiscono, sempre di più, rinunciare a pensare, provare sentimenti, vivere.