NOTA STAMPA dell'Ufficio di Presidenza
La Casa della Legalità partecipa alla mobilitazione ‘estrema’ dei famigliari delle vittime della ‘ndrangheta che riprende quel chiaro e inequivocabile messaggio di rabbia e indignazione lanciato alla politica ed alle istituzioni di governo nel terrificante caldo dell’estate di Palermo del 1992 (e al contempo sfida decisa e a viso aperto agli uomini di mafia): “Abbiamo Fame di Giustizia”...
Dopo anni di mobilitazioni, dopo anni di duri colpi inflitti dagli apparati repressivi e dalla magistratura, alle cosche, abbiamo assistito ad un progressivo e trasversale affievolimento di quella “reazione” nelle Istituzioni elettive e di governo. Abbiamo assistito a tagli ai reparti investigativi, alle forze dell’ordine, alla magistratura. Abbiamo assistito a messaggi di “disponibilità” alla convivenza, che si sono dimostrati di effettiva connivenza e complicità, di ampi settori del potere politico ed economico con le mafie.
Si è dato, in questi anni, un segnale ambiguo, con i provvedimenti volti a minare indipendenza e autonomia della magistratura, l’indebolimento di quell’articolato e complesso sistema normativo che costituiva la legislazione antimafia figlia del pool di Caponnetto, Falcone e Borsellino arrivando ad eliminare la norma anti-omertà, rendendo praticamente (e già da tempo) impossibili le intercettazioni che potevano svelare i legami mafia-politica, disincentivando, non da ultimo, la scelta della collaborazione di giustizia.
Tutto ciò ha, nei fatti concreti, mortificato il lavoro e la volontà di agenti e giudici, di cittadini, parallelamente ad un messaggio di ritrovata percorribilità di vecchie assoluzioni per insufficienza di prove, in un crescendo di certezza d'una più accessibile impunità. L’indulto è stato l’ultimo, drammaticamente chiaro, segnale di continuità in questa direzione del nuovo Parlamento.
Se la lotta all’illegalità, la lotta alle mafie, anche e soprattutto nel loro legame con il potere “ufficiale” e “legale”, non diventa priorità effettiva (nei fatti e non nelle parole), non si raggiungerà alcun risultato.
Possono essere arrestati i boss che saranno prontamente sostituiti (magari dopo nuove guerre o faide di mafia). Possono essere confiscati i beni, ma se non si provvede ad un rapido ed effettivo riutilizzo, visibile e concreto, a fini sociali (come Libera cerca costantemente di fare), il messaggio di nettezza della risposta dello Stato, sarà vissuto ‘mozzato’ e quindi meno insopportabile per le cosche.
Possono essere stanziati fondi straordinari per lo sviluppo ed i servizi pubblici, ma se non si garantisce sicurezza per le imprese (rendendole impermeabili alle richieste di pizzo o al “controllo” mafioso degli appalti), e se non si rompe il legame d’affari tra mafia ed amministrazione pubblica (come l’infiltrazione della Asl di Locri - evidenziata nella sua drammatica profondità dalla Relazione della Commissione Amministrativa), allora quei soldi, si ammetta: sono solo propaganda gattopardesca perché nulla cambierà concretamente, e saranno sempre le cosche ad arricchirsi, con rinnovata povertà per gli onesti, e condanna al lavoro nero per le mafie delle nuove generazioni.
Possono essere colpiti i “manovali” della ‘ndrangheta, ma se non si colpiscono le ramificazioni, che questa ha costruito con i “locali” nelle altre regioni (tra cui, ad esempio, la Liguria, con ‘colletti bianchi’ delle ‘ndrine che siedono nei salotti bene, per assicurarsi l’accesso, ad esempio ai porti per i traffici di rifiuti, o gli appalti con le imprese di 'famiglia' - frutto di riciclaggio e copertura di usura), allora si saranno solo inflitte ferite guaribili in poco tempo.
Le decine e decine di vittime della ‘ndrangheta che ancora, solo nella Locride, attendono giustizia e verità, meritano rispetto, non parate o promesse, rinnovate perché già enunciate e prontamente tradite.
Non sono nemmeno accettabili richiami, che ancora una volta eccheggiano, ad essere "più contenuti", limitandosi a piangere i propri morti. Richiami che vanno rispeditial mittente perchè quei morti impongono alle coscienze dei parenti di chiedere verità e giustizia, e chiedono alle coscienze di ciascuno di noi di essere al loro fianco e camminare insieme, nel rivendicare verità, giustizia, diritti.
Per questo siamo accanto alle vittime di mafia che in questi giorni manifestano ed hanno deciso un'azione "determinata" come quella in atto davanti al Tribunale di Locri.
Ringraziamo anche Beppe Lumia, già presidente della Commissione Antimafia, per essersi recato a Locri a portare il proprio sostegno, come ringraziamo il Procuratore Nazionale Antimafia, Piero Grasso, per l’attenzione e l’impegno che, sappiamo, ha posto alle ferite aperte - e ancora, sempre, intrise di sangue - di questa terra.
Siamo certi che anche il nuovo CSM saprà porre con dovuta priorità la problematica degli organici, quelli da portare a regime e quelli che richiedono un potenziamento straordinario.
Quello che occorre è che a ciò, al lavoro dei magistrati e delle forze dell’ordine, si affianchi, come nella stagione della Primavera di Palermo, una determinata ed ampia consapevolezza di “essere partigiani” della legalità del popolo calabrese, capace di ‘intimare’ ai Parlamentari ed al Governo di cambiare radicalmente rotta e perseguire, con provvedimenti legislativi (non di emergenza, ma stabili), la lotta alle mafie come priorità nazionale, ed in essa una decisa e inequivocabile rottura dei legami (trasversali) tra politica e amministratori (locali e nazionali) con la mafia.
Sono decenni che vi sono organizzazioni che si battono in questa direzione e che sul territorio operano per la diffusione, soprattutto tra le giovani generazioni, dei valori della legalità e della lotta alle mafie. Riferimenti, di Adriana Musella, come Libera di don Luigi Ciotti, sono esempi a cui si affiancano i Ragazzi di Locri, quelli dello striscione bianco, come quelli della Gurfata, come anche l’impegno della Diocesi e del variegato mondo delle Comunità o come il CIDIS. Rafforzare queste esperienze è compito di ciascuno, come cittadino a pieno titolo, ma è anche compito della “politica” che non può dare loro parole coraggiose di incoraggiamento e poi nei fatti non compiere alcun atto concreto.
Questi movimenti antimafia hanno sempre avuto grande senso di responsabilità. Non si possono permettere strumentalizzazioni da parte di alcuno per ragioni di voti o di carriera: la lotta alla mafia è trasversale, non ha colore, è questione di civiltà e giustizia. E, inoltre, non ci si può arrogare nemmeno il diritto di sostituirsi a chi, per competenza e per dovere, per conoscenza degli atti e delle prove, deve indagare e giudicare. Il movimento antimafia deve riuscire, e qui è la decisiva sfida dalla Calabria, a far crescere il consenso nell'azione repressiva dello Stato (che non è chi Governa, non scordiamo), vincendo omertà e indifferenza, sfiducia e resa. Solo facendo sentire, percepire e vivere quella che è la differenza tra una terra e vita condizionata da quella o questa cosca ed una terra ed una vita in cui ognuno liberamente può scegliere e gestire il proprio futuro, è possibile consolidare quel cambiamento culturale con cui è possibile sconfiggere davvero la mafia. Se qualcuno rompe questo equilibrio, per esigenze diverse (qualunque essa sia) da quelle della verità e della giustizia, se qualcuno devia questo lungo cammino, allora si rischia di compromettere ogni sforzo sino ad ora e da anni compiuto dalla società civile, come dalla magistratura, aiutando, di fatto, quella cultura e quel potere mafioso che si vuole combattere.
l’Ufficio di Presidenza