[con aggiornamenti in coda]
Rivarolo, in Valpolcevera a Genova, è uno dei quartieri con una consolidata presenza (e attività) mafiosa. Lo è da decenni. Qui, mascherandosi dietro alle comunità riesina e gelese, gli uomini delle famiglie di Cosa Nostra hanno messo pesanti radici, facendosi strada con quei tradizionali meccanismi con cui le mafie se la fanno, al sud come al nord. Ed è qui che qualcuno, ribadendo di essere un dirigente di Rifondazione Comunista, si oppone strenuamente all'intitolazione di una via a Peppino Impastato...
Questo pezzo di città è la “roccaforte” di Cosa Nostra da decenni. Le famiglie dei MAURICI, così come quella dei FIANDACA, FERRO, boss ormai storici come Gianni CALVO o galoppini come Giuseppe ABBISSO, e via discorrendo, hanno costruito nei decenni un “consenso sociale” figlio da un lato dell'intimidazione (nessuno poteva osare aprire un bar, ad esempio, in prossimità di quello dei MAURICI in via Jori, pena vedersi il locale andare ripetutamente a fuoco) e con l'imposizione dell'omertà perché chi sgarrava finiva male (e si finiva magari crivellati di colpi d'arma da fuoco nel parcheggio dell'Ospedale Celesia, come accadde a STUPPIA), da un'altro lato con il fornire “lavoro” attraverso le reti di imprese, soprattutto nell'edilizia, o con il “controllo” sociale e culturale delle attività che si promuovevano in quel territorio (vedi il caso della squadra di calcio della Certosa-Riesi o quello dei circoli ricreativi culturali usati per incontri ma anche, in alcuni casi, come bische o punti di spaccio), perseguito anche attraverso l'uso della religione con, ad esempio, la promozione per lungo tempo, lì per le vie di Rivarolo, della processione della Madonna della Catena, come copertura di incontri degli esponenti mafiosi. Qui il “controllo del territorio” la mafia lo ha avuto e lo ha ancora. Qui da decenni commercianti che preferiscono il “quieto vivere” si sono piegati (e si piegano) al “pizzo”; non sempre soldi (mai troppi) richiesti per “aiutare i compaesani e detenuti” ma soprattutto (e sempre più) imposizione di fornitori e di assunzioni di personale. Qui da decenni l'attività dell'usura va di pari passo con quella del riciclaggio. Qui si promuove l'offerta di lavoro... con il “caporalato” ben visibile e noto nei luoghi di “selezione” clandestina dei lavoratori in nero, italiani e stranieri (da quelli latino-americani a quelli albanesi). Qui, dopo i conflitti tra mafie, degli anni Ottanta, la pax instaurata è stata solida sino ai tempi più recenti, perché gli “affari comuni” e la spartizione dei settori di influenza, vedevano il coordinamento delle famiglie di Cosa Nostra, della 'Ndrangheta e della Camorra per “ottimizzare” le rispettive “specializzazioni” e reti di “influenza” (a partire da quella con la politica)... Ed è proprio qui a Rivarolo che si è anche “consumata” la frattura recente tra Cosa Nostra e 'Ndrangheta, dopo gli arresti di diversi 'ndranghetisti e nessun intaccamento repressivo della rete di Cosa Nostra, qualche 'ndranghetista avrebbe pensato che forse qualcuno aveva “parlato” dei siciliani e così furono molotov lanciate contro il ristorante di Gianni Calvo. Poco tempo dopo, invece, più a monte, a San Quirico, era la volta di un bar di uno dei calabresi, devastato con un auto che nella notte entrava nel locale e lo distruggeva. Questo è territorio “sicuro” per Cosa Nostra (come per la 'Ndrangheta) tanto che è proprio qui che per lungo tempo si nascondeva (girando tranquillo!) uno dei più pericolosi latitanti di Cosa Nostra, Daniele Emmanuello. Ed è qui che la cappa di omertà ha permesso che omicidi commessi negli Settanta vedessero squarciasi solo ora, nel primo decennio del nuovo secolo, le responsabilità materiali di quei delitti in pizzeria a Teglia. Qui viveva ed operava con tutta tranquillità il numero due del clan di Puddu Madonia, Antonino LO IACONO, fino a quanto, negli anni recenti, la DIA lo ha sottoposto alle misure preventive dopo l'accoglimento, da parte dell'Autorità Giudiziaria di Caltanissetta, della richiesta di provvedimento.
Riprodotto il “controllo” del territorio e sociale, vuoi per la forza di intimidazione e l'omertà, vuoi invece per i “favori” che l'organizzazione mafiosa garantiva a chi si mostrava pronto all'obbedienza, Cosa Nostra ha saputo far pesare quel “consenso sociale”, cioè quella capacità di controllo di pacchetti di voti, per acquisire protezioni, contiguità e complicità nella politica. Ovviamente non disperdendolo nelle forze minoritarie di opposizione, ma stringendo legami con il “potere”. E qui, il “potere” è della sinistra e, poi, del centrosinistra. Non facevano distinzioni di “partito”, qualunque partito che avesse “potere” nell'ambito dell'amministrazione pubblica era terreno fertile da coltivare per gli esponenti di Cosa Nostra prima e poi anche per quelli della 'Ndrangheta.
E' in questo contesto che, ad esempio, passa nell'indifferenza più totale una lettera inviata, nella campagna elettorale del 2007, dall'allora candidata sindaco Marta VINCENZI (che ha sempre vissuto in quel territorio, proprio a Rivarolo e lì ha sempre militato conoscendo, ovviamente, il contesto di quel pezzo di città), ad un associazione, l'AMICI DI RIESI che contava tra i propri fondatori e dirigenti il capobastone storico della famiglia MAURICI, Giacomo MAURICI. Una lettera elettorale in cui ringraziava questa realtà e con cui auspicava future collaborazioni.
Poche sono state nel tempo le opposizioni a questo stato di cose. Quando Cosa Nostra infiltrò il PSI i dirigenti della locale sezione si opposero inutilmente. Prima andò a fuoco la sede del circolo e della sezione, poi dalla Federazione venne il via libera alle iscrizioni in massa ed alla porta vennero messi quelli che si erano opposti in quella sezione territoriale di Via Sonnino. Altro esempio: il parroco di San Bartolomeo di Certosa, don Renzo, si oppose strenuamente all'uso della religione che veniva fatto con la Processione della Madonna della Catena e la blocco per diversi anni; gli svuotarono la chiesa, il circolo, l'oratorio... e la Curia decise che era meglio fare un “compromesso”, non più processione della Madonna della Catena ma nell'ambito della processione della settimana Mariana avrebbero potuto portare come statua quella della Madonna della Catena. Quando anni dopo don Renzo raccontò tutto questo, come di tante minacce ed intimidazioni subite, durante una passeggiata in montagna cadde in un dirupo e morì... Chiunque osava denunciare ed opporsi quando andava bene veniva isolato con un tripudio di tentativi di delegittimazione con in primis: lo fanno per avere visibilità. Chi chiamava la polizia o faceva denunce qui era (ed è) considerato un “infame”... e nel frattempo in questo territorio continuano ad esserci spaccate a negozi che non accettano i “consigli” di aiutare i compaesani o i familiari dei detenuti, continuano gli incendi ed i danneggiamenti, come se nulla fosse, come se fosse la normalità.
Recentemente molti cittadini di questo quartiere si sono organizzati in Comitato, i “Liberi Cittadini di Certosa”. Hanno avviato incontro, presidio del territorio, iniziative culturali e ricreative. Volontariato puro. Hanno tessuto una rete antitetica a quella delle cosche. Lavorano con le Scuole del quartiere, riempono, come fa anche la Ludoteca Labyrinth con il “gioco pulito”, i locali del Circolo di San Bartolomeo di Certosa... Hanno ristrutturato il teatro che ora è di nuovo uno spazio utilizzabile ed aperto alla comunità. Lavorano con proposte (e quando serve con proteste) ponendo i problemi alla Pubblica Amministrazione, dal Municipio al Comune. Denunciano l'illegalità ed anche le organizzazioni mafiose e, con la loro presenza ed attività, dimostrano che ci si può opporre quotidianamente all'intimidazione ed al controllo di quel territorio che le mafie perseguono da decenni. Cercano di costruire una vivibilità del quartiere, anche con segnalazioni alle Forze dell'Ordine, per estirpare vecchie e nuove criminalità, come anche la piaga delle gang latino-americane (armate!) che altro non sono che emanazione delle gang che imperversano in America e che se si scosta il “paravento” dei “patti-parata” con le Amministrazioni locali altro non sono che clan violenti e pericolosi (a partire dalla pratica dei riti di affiliazione). Tra le varie realtà con cui hanno realizzato una collaborazione c'è anche quella con la Casa della Legalità che ovviamente è vista come la peste.
Questo gruppo, anche in collaborazione con la Fondazione per la Cultura di Genova, quella di Palazzo Ducale per intenderci, cercando di concretizzare il legame “centro-periferia”, ha deciso di promuovere, riprendendo l'insegnamento di Peppino Impastato, un percorso di iniziative intitolato BELLEZZA E LEGALITA' (vedi l'articolo di Repubblica). Nell'ambito di questo percorso hanno chiesto che una via, via Piombino, in quel quartiere di Rivarolo colonizzato da Cosa Nostra, venga intitolata “via Peppino Impastato”. Un segnale forte e chiaro in quel territorio per dire da che parte si stà ed in che parte decise di schierarsi anche la politica. Cambiare il nome ad una strada non ha costi. Sì fa con quattro targhe e con una comunicazione ai diversi Uffici (Camera di Commercio in primis) per il cambio automatico degli indirizzi. Ma il segnale è fortissimo. Lo è lì, in quel contesto di territorio e di comunità. Altrove, ovviamente, sarebbe diverso. Conta e pesa dove c'è chi fa parte di quell'organizzazione mafiosa che ha visto in Peppino Impastato il nemico numero uno e per questo lo ha ammazzato.
Si può pensare che ormai nessuno osi opporsi alla memoria ed al significato politico di rigetto delle mafie che si incarna nella figura di Peppino Impastato... ma invece qui, a Rivarolo qualcuno si oppone. Lo fa anche cercando di raccogliere firme contro quell'intitolazione. Lo fa ribadendolo pubblicamente anche sui social network come facebook. Lo fa ricordando che lui è un dirigente di Rifondazione Comunista (che in effetti è, a livello provinciale e regionale). E' Vittorio Toscano, infatti che afferma la sua totale opposizione ad intitolare la via Piombino nel quartiere di Rivarolo a Genova a Peppino Impastato. Afferma che è un costo assurdo fare questa intitolazione... ed a chi spiega che invece non ci sono costi per il cittadino risponde: "False informazioni come al solito. Se si haa attività si deve cambiare dallo scrontrino fiscale alla ragione sociale se sono società dal notaio chi paga?".
L'opposizione ferma ad intitolare la via di Rivarolo a Peppino Impastato sarebbe perché impone alle persone di andare dal Notaio, di cambiare ragione sociale ed altre castronerie affini... chiaro? Ed ovviamente accusando di “ricerca di visibilità” coloro che hanno proposto questo percorso, BELLEZZA E LEGALITA', in quel territorio, promuovendo una risposta concreta, civile, culturale e sociale, ai decenni di silenzio ed omertà.
Chissà se Rifondazione Comunista, che rivendica un legame con la storia di Peppino Impastato, e che solitamente, nelle altre realtà è in prima fila a sostenere iniziative come quella proposta dai Liberi Cittadini di Certosa, vorrà dire qualcosa a questo suo dirigente o se invece preferirà, come sta facendo da giorni, restare in silenzio o (e speriamo proprio di noi) avvallarne l'azione.
P.S.
Il Vittorio Toscano -in foto-, dirigente di Rifondazione Comunista (e persino responsabile, per questa, della “Scuola Politica”), oltre all'opporsi strenuamente all'intitolazione di una via di Rivarolo a Peppino Impastato da lungo tempo si diletta ad attaccare, guarda caso, la Casa della Legalità ed il Comitato dei Liberi Cittadini di Certosa, soggetti su cui dice pesta e corna in un mix di falsità ed illazioni senza freno, oltre, ovviamente, all'accusa di essere solo alla ricerca di “visibilità” e di non fare nulla di concreto... Sino ad ora abbiamo lasciato correre, ora valuteremo, invece di agire nelle opportune sedi.
Aggiornamento 8 aprile 2014
Innanzitutto la proposta di intitolare via Piombino, nel quartiere di Rivarolo, storicamente piegato dalla colonizzazione mafiosa, a Peppino Impastato non è stata promossa dalla Casa della Legalità ma da abitanti e commercianti di Rivarolo attivi da anni nel comitato “Liberi Cittadini di Certosa”, e la Casa della Legalità ha, ovviamente, deciso di appoggiare questa richiesta che, visto il contesto di quel quartiere, assume una significato ben preciso e concreto, che va oltre alla semplice ragione di memoria.
Ci ha lasciato sconcertati apprendere che chi si oppone con decisa vemenza ad intitolare in quel territorio una strada a Peppino Impastato, fosse un dirigente di Rifondazione Comunista quale Vittorio Toscano che sostiene tesi assurde come il “costo” che questa intitolazione comporterebbe per abitanti e commercianti ed affermando che a lui una strada a Peppino Impastato va anche bene, ma non lì, altrove. Se la questione “costi” è una bufala è significativamente grave che Toscano indichi la necessità di intitolare a Peppino Impastato una strada altrove, ovvero fuori da quel territorio che da decenni è inquinato dalle famiglie di Cosa Nostra.
Se il segretario nazionale di Rifondazione Paolo Ferraro ha dato un indicazione chiara, ovvero un netto si a quell'intitolazione, Rifondazione Comunista a Genova ha assunto una posizione in linea con il proprio dirigente locale, Vittorio Toscano. Leggendo le dichiarazioni di Agostino Gianelli, altro dirigente di Rifondazione Comunista e presidente del Municipio Valbisagno, al Corriere Mercantile. si rimane allibiti. Si legge infatti che Gianelli sostiene che questa questione è una “strumentalizzazione” della Casa della Legalità ed avvalla la linea di Toscano sia sulla questioni “costi” (“problemi con la dicitura della partita Iva” ad esempio) sia sulla necessità di intitolare la via a Peppino Impastato altrove, fuori da quel quartiere, perché intitolargli via Piombino, secondo Gianelli, “non rende un buon servizio agli abitanti”. Peccato che Agostino Gianelli nella sera di sabato scorso avesse scritto l'esatto opposto. Il Presidente della Casa della Legalità gli aveva infatti scritto, anche considerando il suo ruolo pubblico, istituzionale, in un altro Municipio, comunicandogli la preoccupazione per quanto avveniva a Rivarolo e, inviandogli il link all'articolo della Casa della Legalità sulla questione, gli comunicava che sperava che RC prendesse le distanze dal Toscano. Gianelli rispondeva: “Grazie, ho letto e devo dire che la risposta che Toscano ha dato, anche se ricopre ruoli di responsabilità nel partito è del tutto personale e comunque non condivisa da nessun organismo politico del prc comunque mi attivo”.
A questo punto è ben chiaro come stanno i fatti e chi, tra l'altro, riesce ad affermare due linee diametralmente opposte come se nulla fosse.
Se questa è la replica che abbiamo inviato al “Corriere Mercantile” per l'articolo citato (vedi qui), possiamo aggiungere (e crediamo doveroso aggiungere) un ragionamento...
Oltre alla comunicazione a Gianelli citata, il Presidente della Casa della Legalità ha anche chiesto a questi di inviare un eventuale comunicato, documento o lettera che RC Genova avesse predisposto in merito, così da chiarire ufficialmente quanto il Gianelli affermava, ovvero che quelle di Vittorio Toscano era una posizione personale NON condivisa da Rifondazione. Domenica lo stesso Presidente della Casa della Legalità contattava telefonicamente il segretario provinciale di RC di Genova e con questi si sottolineava il significato forte che ha l'intitolazione di una via a Peppino Impastato in un territorio, come Rivarolo, pesantemente radicato da Cosa Nostra. Il Segretario genovese di RC affermava che avrebbero fatto una riunione della Segretaria sulla questione e che ci avrebbe fatto sapere.
Nel frattempo viene pubblicato l'articolo sul Fatto Quotidiano online dove la giornalista racconta i fatti per come sono, correttamente, mentre il “titolista” aveva inizialmente indicato una contrarietà di Rifondazione anziché di “un dirigente di Rifondazione” (che poi, guardando alle dichiarazioni del Mercantile, già sono due dirigenti e non solo uno, purtroppo). In quell'articolo di Chiara Pracchi si legge chiaramente che il segretario nazionale di RC, Paolo Ferrero, ha detto senza mezzi termini che la posizione di RC è perché si intitoli quella via a Peppino Impastato. Ferrero è ben consapevole che intitolare una via a Peppino Impastato “altrove”, dove non vi è una presenza radicata di Cosa Nostra, ha un significato ben diverso che depotenzia il segnale che i Liberi Cittadini di Certosa vogliono dare lì, a Rivarolo, terra di mafia da decenni. Ma nonostante questa presa di posizione netta e chiara di Ferrero, Vittorio Toscano ribadisce il concetto (vedere gli articoli de Il Secolo XIX e di Repubblica, oltre a quello del Mercantile), affiancato anche da Gianelli. Ora se è evidente che quella dei “costi” è una scusa assurda (e rasenta il ridicolo quando viene affermato - da Toscano - che le persone dovranno pagare il Notaio o - Gianelli che afferma che si devono modificare le partite Iva), è altrettanto evidente che qualcosa non torna nella posizione di Toscano ed altri che insistono sul va bene una via per Peppino Impastato purché non lì. Ma come? E' proprio dove Cosa Nostra ha le sue radici più profonde e invasive a Genova che occorre un segnale chiaro, significativo, come appunto intitolare la via a Peppino Impastato, promuovendo al contempo una serie di iniziative culturali, ricreative, sociali sul territorio (fatte con il volontariato e senza costi per gli Enti Locali e mettendo insieme associazioni, gruppi, cittadini, le scuole del territorio). Non per una targa in sé, ma per ciò che rappresenta, lì, in quel territorio, in quella comunità soggetta a intimidazioni ed assoggettamento all'omertà. Non è possibile (e credibile) che dirigenti di un partito che di Peppino Impastato affermano di fare una bandiera, non comprendano il segnale forte che ha quell'intitolazione a Peppino in quel contesto, a Rivarolo. Fortunatamente alcuni esponenti di Rifondazione in quel territorio prendono le distanze da Vittorio Toscano e dalla posizione che ha assunto. Sarebbe importante che questa presa di distanza fosse messa in un comunicato ufficiale di RC Genova, così da sgombrare il campo definitivamente, che da segnare una decisa presa di distanza da parte di RC dal Vittorio Toscano.
Il “disagio” di un cambio di nome di una via (e non certo un “costo”) per dare un segnale forte contro la presenza invasiva delle mafie a Rivarolo è, crediamo, un disagio più che sostenibile, utile e necessario.